Maledetti colloqui di lavoro

15 Luglio 2024
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Chiacchiere forzate, domande confezionate, giacca, camicia, contatto visivo prolungato. I colloqui di lavoro per i Gen Z sono stressanti e spesso poco stimolanti. Lo conferma un sondaggio

E soprattutto i giovani della Generazione Z, gli under 30, sono sempre più in difficoltà nell’affrontare questo rito di passaggio. Faticano a dare il meglio di sé e, spesso, falliscono. Mentre i più anziani, quelli che devono assumerli, finiscono per additarli come svogliati e fannulloni. Tanto da aver sviluppato una sorta di «fobia per la Gen Z».

Chi non ha sentito un responsabile delle risorse umane lamentarsi dei candidati più giovani? Jodie Foster al Guardian ha detto che i lavoratori della Gen Z sono «davvero fastidiosi». Senza pensare che, forse, la formula dei colloqui di lavoro, con tutte quelle domandine standardizzate, potrebbe essere ormai obsoleta.

Ok, boomer Un sondaggio condotto su 800 manager americani ha registrato che i candidati della Gen Z spesso non superano i colloqui di lavoro. Un manager su cinque dice che i neolaureati sono impreparati. Molti si lamentano della difficoltà nel contatto visivo, dell’abbigliamento e per la richiesta frequente di stipendi più alti. Tanto che quasi il 40 per cento dice di essere più propenso ad assumere un candidato più anziano (!).

Dammi tre parole Il punto – spiega il Guardian – è che le aspettative degli addetti alle risorse umane si scontrano con quelle dei candidati più giovani. I ragazzi intervistati parlano di «bullshit questions» come: «Descriviti in tre parole» o «Identifica la tua più grande debolezza». E invece vorrebbero prendersi il tempo necessario per rispondere a domande direttamente correlate al lavoro per cui si candidano, spiegare chi sono senza schemini pre-compilati.

La zuppa di Edison Negli anni Venti, Thomas Edison inventò un “test” per valutare i candidati al suo laboratorio. Come parte del test, chiedeva loro di mangiare la zuppa davanti a lui. Se condivano la zuppa con sale e pepe prima di assaggiarla, venivano eliminati: non voleva che i suoi dipendenti facessero supposizioni.

Il quiz sulla zuppa è scomparso dai radar degli Hr, ma nel frattempo generazioni di lavoratori hanno accettato la ritualità dei colloqui di lavoro. Quelli in cui devi fingere che il project management, l’immissione di dati o il telemarketing siano l’unica vera passione della tua vita. O rispondere a domande come: «Se fossi un elettrodomestico da cucina, cosa saresti e perché?».

Ve lo ricordate il Covid? Senza dimenticare che i 20-30enni sono diventati adulti durante una pandemia e un tumulto politico senza precedenti e che hanno avuto le loro prime esperienze professionali lavorando a distanza. E le esperienze dal vivo all’inizio possono provocare grossi stati d’ansia.

Il Wall Street Journal ha raccontato che nelle università americane stanno nascendo nuovi corsi per insegnare «abilità elementari», come la capacità di discutere in presenza, guardare in faccia o chiamare le persone per nome quando parlano con loro.

Sulla bacheca di Handshake, piattaforma che aiuta gli studenti a trovare un lavoro, una ragazza ha raccontato di aver ottenuto il suo primo colloquio di lavoro di persona dopo anni di videocall. Entrò in ufficio e si rese conto che non sapeva cosa fare con le mani. Stringere la mano del suo intervistatore? Le persone si stringono ancora la mano dopo il Covid? Le cose diventarono più difficili quando andarono a pranzo. Alla fine imitò esattamente il modo in cui mangiava il suo potenziale capo e ottenne il lavoro.

Certo, poi ha dovuto firmare un contratto breve, affrontare un ridotto equilibrio tra lavoro e vita privata e accettare uno stipendio che non tiene il passo con l’inflazione.

Forse la Generazione Z non dà il meglio di sé nei colloqui di lavoro perché in effetti non c’è molto di cui essere entusiasti una volta ottenuto il lavoro. Ma questa è un’altra storia.

Articolo originariamente pubblicato su Linkiesta Forzalavoro

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