Perché la Generazione Z e i millennial odiano rispondere al telefono

30 Agosto 2024
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Un quarto delle persone comprese tra i 18 e i 34 anni ha ormai elaborato l’abitudine di non rispondere alle chiamate

Da un recente sondaggio è emerso che un quarto delle persone di età compresa tra 18 e 34 anni non risponde mai al telefono: gli intervistati affermano di ignorare il segnale, di rispondere tramite messaggio o di cercare preventivamente il numero online se non lo riconoscono.

La ricerca è di Uswitch, sito di comparazione dei prezzi fondato dal marchese George Mountbatten. Condotto su 2.000 persone ha rilevato che circa il 70% dei giovani sempre nell’età compresa tra i 18 e i 34 anni preferisce comunicare con un messaggio di testo a una telefonata.

Per le generazioni prima di noi, parlare al telefono è normale: i nostri genitori hanno trascorso l’adolescenza litigando con i loro fratelli per avere accesso al telefono fisso nel corridoio. Spesso quel luogo diventava anche platea per un ascolto familiare allargato.

Noi primi millennial abbiamo usato il telefono fisso solo per le chiamate di lavoro in un ristretto periodo prima che anche le aziende si affidassero alla telefonia mobile. Per il resto, come tutti quelli della mia generazione, ho messaggiato con il mio Nokia 3310 fino a fargli raggiungere il punto di fusione, e non dico così per dire, dato che un giorno la mia prof di biologia vide del fumo uscire dalla mia tracolla e si trattava di lui, del mio Nokia rosa.

Allora gli sms erano la nostra ossessione, si scriveva agli amici, erano messaggi di testo di 160 caratteri, dai quali eliminavamo ogni spazio e ogni vocale non necessaria, finché il messaggio non assomigliava a un groviglio di consonanti che in confronto un codice internet HTML era più comprensibile. Anche perché, non ricordo il prezzo in centesimi, ma era facile spendere troppo e prendersi lavate di testa dai genitori, addetti loro malgrado a costanti ricariche.

«Se ti abbiamo dato questo telefono è per la tua sicurezza, non perché tu possa sparare cavolate con i tuoi amici giorno e notte», mi ricordava mio padre a ogni ricarica.

E così nacque la generazione di amanti degli short messages: le chiamate dal cellulare servivano per le emergenze e il telefono fisso veniva usato raramente solo per parlare con i nonni.

La dottoressa Elena Touroni, psicologa consulente londinese, spiega che, poiché i giovani non hanno sviluppato l’abitudine di parlare al telefono, ora provano un senso di straniamento, perché non è più la norma.

Le chiamate sono un thriller

Tutto ciò può far temere il peggio ai giovani quando il loro telefono inizia a squillare o a illuminarsi silenziosamente perché nessuno sotto i 35 anni oggi ha una suoneria troppo alta.

Più della metà dei giovani che hanno risposto al sondaggio Uswitch ha ammesso di pensare che una chiamata inaspettata significhi una cattiva notizia.

La psicoterapeuta Eloise Skinner spiega che l’ansia legata alle chiamate deriva da un’associazione con qualcosa di negativo, un senso di presentimento o di terrore. Non si tratterebbe soltanto di una forma di pensiero magico, tipico della fragilità di questi tempi, ma di una ragione ben più concreta: dato che le nostre vite diventano più frenetiche e gli orari di lavoro più imprevedibili, abbiamo meno tempo per chiamare un amico semplicemente per metterci in pari. Le telefonate, quindi, diventano riservate alle notizie importanti della nostra vita, che spesso possono essere complicate e difficili.

Poi c’è la piaga dei call center, delle truffe, del recupero dei crediti insistente e molesto. Le chiamate da questi numeri sono riuscite a bypassare l’anonimato che nel tempo ha perso di ogni senso. È più facile ignorare le chiamate anziché esaminarle attentamente per scoprire da chi provengono, dopo essersi assicurati di avere registrato quella ventina di numeri fondamentali nell’esistenza di ognumo.

Ti mando un vocale

«Francamente non capisco perché si consideri più autentica una telefonata rispetto a una nota vocale», sostiene Diamante Ferranzoli, 19enne studentessa di liceo a Roma. E in effetti qualsivoglia discorso di questo tipo, fatto nel 2024 non può non prendere in considerazione le modalità vocali della comunicazione.

Il messaggio vocale è bandito da una sorta di galateo non ufficiale dei millennial, che lo indicano come una forma di sopruso perché costringe a il ricevente a prendersi un tempo e un luogo per ascoltare un messaggio che talvolta dura qualche minuto, obbligando a un’attenzione che il messaggio testuale non richiede. Eppure la generazione Zeta sembra invece amarlo, come dimostra Diamante.

Probabilmente però i millennial non hanno tutti i torti: ascoltare un messaggio vocale di cinque minuti di un amico che ci racconta fatti della propria vita, mettendoci emozioni ed empatia può essere doloroso. Ascoltare e prendersi il tempo per una risposta sembra maleducato dopo il suo sforzo. Ma ci sono casi in cui è anche antipatico e disturbante, dato che spesso chi registra si distrae, usa versetti o parole scontate per riempire i vuoti, cose come «tipo, uhmmmmm, cioè, voglio dire», quando una sintesi testuale sarebbe più che sufficiente a raccontare la storia.

Tuttavia, tutto è meglio della telefonata live secondo gli intervistati: che si tratti di testi o di vocali dobbiamo comprendere che queste sono le nuove conversazioni in atto oggi, ed è certamente un bene che esistano anche perché si usa una certa ponderazione ed è minore il rischio di dire cose di cui poi ci si potrebbe pentire.

La phonofobia sul lavoro

Henry Nelson-Case, avvocato e creatore di contenuti ha prodotto una serie di video virali sui “Millennial sopraffatti”: sono scenette che parlano per esempio dell’angoscia di inviare una mail aziendale, attorcigliandosi per ore intorno a qualche richiesta di permesso o di ferie pur di evitare una telefonata.

Spiega la dottoressa Touroni che le telefonate sono più espositive e richiedono un livello di intimità più elevato, mentre la messaggistica è distaccata e consente di comunicare senza sentirsi vulnerabili o esposti. Sabina Malinkovc, avvocatessa di 27 anni, afferma di evitare le telefonate sul posto di lavoro perché la distraggono dai suoi numerosi impegni e obiettivi.

Insomma abbiamo sempre più bisogno di proteggere nei il nostro tempo e chiamare qualcuno richiede al destinatario di mettere in pausa la propria giornata e dedicare attenzione alla conversazione.

Scusa capo, avevo il telefono silenzioso

Però questo non va giù a molti imprenditori over 60, che a commento del sondaggio si dicono sbalorditi dai dipendenti più giovani che rispondono raramente alle telefonate o deviano le chiamate del boss, inventando sempre scuse. D’altro canto è in atto un adattamento anche da parte delle aziende, che spinte dalla necessità di tenersi le persone formate e combattere le grandi dimissioni stanno in maggioranza decidendo di accettare e rispettare queste nuove modalità di comunicazione.

Ma entriamo ancora più dentro questo mistero generazionale e chiediamoci se con la preferenza per la comunicazione non verbale e la tendenza a lavorare da casa, stiamo perdendo la possibilità di conversazioni non programmate e informali, che educano a rapporti più dinamici e spontanei.

Probabilmente la risposta è sì, anche se gli studi in ambito Human Resources, sostengono che bisogna distinguere: non è tanto la produttività a soffrire di questa mancanza, ma l’umano chje può vedere compromessa la propria naturale capacità di creare un senso di vicinanza o di connessione.

E poi c’è anche chi, invece soffre perché il capo non cerca di stabilire alcun contatto e le rare volte che telefona è felicissimo. Matilde Asprea, 31 anni, è cassiera in un supermercato di Orvieto e brama essere chiamata dai suoi superiori: «È un dialogo più ponderato di un testo, perché richiede un certo sforzo, quindi sai davvero che il tuo responsabile apprezza il tuo contributo».

Sarebbe però un errore stabilire schemi e attribuirli alle diverse generazioni, in questo caso. Perché probabilmente si tratta soltanto di normali reazioni ai cambiamenti: 25 anni fa le persone erano restie a passare dal fax alla mail, ma il cambiamento, dobbiamo ammetterlo, ha reso la comunicazione molto più efficiente.

Massì che importa, in fin dei conti è vero, ammettiamo almeno la possibilità che le chiamate dal vivo tra poco non ci mancheranno per niente.

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