Decrittare i GenZer: si laureano nel Metaverso ma sognano di andare in un vero ufficio

4 Luglio 2022
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Confusi e critici, i primi rappresentanti della Generazione Z in età da lavoro vogliono cambiare le regole. Ma non sanno bene come

Sapevamo che il 2022 sarebbe stato l’anno del test di ingresso nell’età adulta e professionale dei primi GenZer. Siccome i nati dal 1997 al 2012 rappresentano ancora un grande punto interrogativo per chi tenta di studiarli, gli istituti di ricerca aspettavano al varco i 97, che stanno compiendo 25 anni. Ovvero  quell’età in cui mediamente ci si laurea e si inizia (o si dovrebbe iniziare) ad avere contatti con il mondo del lavoro.

Eppure gli spunti che offre l’attualità non sembrano diradare le nebbie sulla generazione più consapevole, impegnata e determinata dal Dopoguerra. E dunque all’ Università di Torino ha appena fatto notizia il 109 ottenuto da Edoardo Di Pietro, venticinquenne toscano che ha discusso per primo la tesi nel Metaverso (nel corso di studi magistrali in Comunicazione, Ict e Media).

Ma dai sondaggi che si fanno nel mondo, risulta comunque basso il desiderio di affidare la propria vita personale e professionale a un avatar. Tant’è che un nuovo sondaggio della società di ricerca Generation Lab sulle tendenze giovanili rivela che il 40% degli studenti universitari e dei neolaureati ambisce lavorare in un ufficio vero. Un altro 39% vorrebbe soluzioni ibride e soltanto il 19% opta per il lavoro in modalità remota.

Contraddizioni che rispecchiano altre contraddizioni, interne alla generazione stessa. Nella quale tra l’altro approda in questi giorni un dibattito, leggero, sulle loro scelte a proposito dell’uso di Tik Tok.

Come si sentono le generazioni più giovani riguardo al rapporto tra lavoro a distanza e ufficio? Spunta un altro sondaggio, questa volta di TenSpot, piattaforma a tema connessioni e lavoro, che riporta che il 30% della Gen Z opterebbe per il lavoro remoto full time. Nel frattempo, uno studio di SkyNova che ha intervistato 1000 lavoratori ha rilevato che il 47% dei GenZer pensa che non è un problema di distanze, ma di cultura aziendale tutta da ricostruire.

Lavorare a distanza è roba da Baby Boomer?

A pensarci è intuitivo: gli unici veramente interessati a non tornare più in ufficio, perché stanchi delle dinamiche e tra colleghi, sono coloro che dal mondo del lavoro stanno uscendo. Ovvero i Baby Boomer e quelli della generazione X, nati negli anni Sessanta.

Eppure bisogna chiedersi perché quelli più interessati alla presenza fisica siano proprio i GenZer. È un dato controintuitivo, poiché la Gen Z, nata tra il 1997 e il 2012, è cresciuta durante l’esplosione del digitale. Gli iPad kids, nativi digitali per eccellenza, dovrebbero dunque essere al massimo dell’agio con la modalità online del lavoro da casa.

Cercasi tutor disperatamente

I più anziani della Generazione Z (i 25enni di oggi) hanno avuto scarse esperienze lavorative prima dell’inizio della pandemia.

Tuttavia sono cresciuti in famiglie nelle quali hanno vissuto il lavoro come un’attività protetta, con diritti molto chiari e leggi rigide, soprattutto per chi sta in ufficio. Postazioni studiate per il maggior benessere, coperture assicurative, servizi logistici e internet forniti dall’azienda stessa. Perdere questo sistema fa sentire i GenZer orfani di una comunità lavorativa, privi di tutor che possano fornire riscontri al loro sviluppo professionale.

Secondo un sondaggio di Axios del 2021, il 66% dei giovani intervistati preferirebbe un feedback faccia a faccia con il proprio responsabile.

Per quanto riguarda le generazioni intermedie, più della metà dei millennial e della Generazione X si sente carico di responsabilità come l’assistenza in famiglia e la cura della casa e quindi più in linea con uno stile di lavoro ibrido o a distanza.

L’ambiente ufficio, quindi, sarà salvato dai GenZer? È altamente probabile che siano proprio loro a portare avanti l’idea dell’ufficio. Purché, come fa sapere la piattaforma professionale Eden, le aziende siano disponibili a cambiare le regole dei rapporti umani, inserendo maggiore inclusione sociale e attenzione al mindset, questione cara ai più giovani.

Consigli ai CEO

Che cosa significa per i datori di lavoro accettare la sfida dei GenZer? per esempio significa una volta per tutte occuparsi delle connessioni umane e di un tutoraggio non meramente nozionistico per chi entra in azienda.

Per una nazione come l’Italia che ha dato i natali agli illuminati delle fabbriche, come Adriano Olivetti o Leonardo Del Vecchio, l’attenzione all’umore e alla soddisfazione dei lavoratori dovrebbe essere un concetto famigliare.

Offrire almeno una parte dell’esperienza professionale in un posto di lavoro fisico, gestire la presenza con flessibilità e modelli ibridi, moltiplicare gli incontri per brain storming e team building sono i passi da fare per avere dipendenti ventenni efficienti ed entusiasti.

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