La Gen Z, di sabato, guarda Sanremo invece di cercare emozioni fuori casa. Ma perché?

11 Febbraio 2024
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Ok, ha perso il loro idolo Geolier. Ok, però hanno dimostrato di avere potere di voto, e perfino la bibbia del giovine conformista skuola.net se n’è accorta. Ma adesso per cortesia qualcuno ci spieghi che fine ha fatto lo scatenamento ormonale in questa generazione

Il conformismo rischia di essere il tratto per cui la Gen Z rimarrà famosa presso le prossime generazioni. Non ci sono prove nette, questo è vero. Ma è evidente che prima o poi avremo, se non li abbiamo già, i dati che ci diranno che in quei 17 milioni di italiani che hanno seguito il Festival di Sanremo del 2024 ci saranno di certo milioni di Genzer.

Che cosa porta però gruppi di giovani ventenni, che dovrebbero essere a caccia di storie e sperimentazioni dionisiache nel periodo migliore della loro fioritura a dedicarsi a uno spettacolo pensato definitivamente per boomer, o al limite per genitori di Genzer non si capisce nemmeno facendo appello a quella maledizione del lockdown che li ha pesantemente condizionati negli anni scorsi.

Sentiamo già i sociologi del giorno dopo Sanremo, sperticarsi a elogiare la capacità di Amadeus di cogliere le sintonie con i giovani, prendendo a mani basse dal malessere cantato dalla trap, dai green/pink/gender washing d’ordinanza.

Ma qualcuno dovrà pur chiedersi perché cavolo quattro strofe lamentose e metallizzate dall’autotunes valgono di più del sogno di una notte di vitalismo e leggero lasciarsi andare al flirt, al ballo, alla passione e all’eccitazione erotica.

Il Festival non è altro, alla fine che un cocktail che ha come focus i boomer, quelli veri e quelli riectichettati della generazione X, gente che se potesse, se non fosse stanca e provata da figli, mutui e lavoro sarebbe pronta a far mattina. Gente che quel vitalismo l’ha vissuto, magari esagerando in certi momenti, perché sappiamo anche quanto si beveva senza controlli di polizia e senza leggi dure e quante vite abbia mietuto la notte degli anni 80 e 90.

Però questo non può giustificare la cauterizzazione degli istinti di gioventù. Ma più ancora non dovrebbe delegarli all’altro da se digitale, lasciando che le emozioni estreme di quell’età si possano e si debbano consumare soltanto nel segreto delle proprie stanze davanti a uno o più schermi blu.

Se fosse esistito il termine negli anni 80 e 90, l’atteggiamento dei giovani nei confronti di Sanremo e delle masse che se lo bevevano in technicolor avrebbe coinciso con la parola cringe. Imbarazzante, per superficialità, artefazione, finto-giovanilismo, trasgressione rieducata, e conformismo.

Oggi invece scopriamo che i demiurghi di ciò che è cringe e ciò che è bello, sono parecchio indulgenti e autoindulgenti verso questa kermesse, venduta come glocal con la musichina dell’eurovisione a suggellare un’eccellenza del made in Italy.

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