Le crypto valute hanno due volti: quello accattivante del profitto immediato, della possibilità di diventare milionari restando seduti sul divano, e il sapore di utopia e libertà, legato a un mercato senza vincoli. E un secondo volto, più oscuro, imprevedibile, che non ha sfumature, solo rosso e verde: un giorno può andare bene, un altro incredibilmente male, e se ciò accade, si perde.
A guardare bene, però, c’è anche un terzo aspetto, di cui poco si parla. Anche il mondo delle crypto segue le strategie di marketing, ha i suoi modi di pubblicizzarsi e sì, anche i suoi influencer. Secondo il giornalista Samuel Scott è proprio analizzando queste strategie che si può scoprire la vera natura delle valute digitali: “I crypto influencer che vengono pagati in dollari rivelano quanto il settore sia squallido”, è il titolo dell’editoriale che ha pubblicato su The Drum, a riprova (ancora una volta), che non è tutto oro quel che luccica, tanto meno quando lo si trova online.
E le crypto si fecero mainstream
Convincere una nicchia di nerd che le crypto sono interessanti è un conto, ma raggiungere il pubblico mainstream è sicuramente un altro paio di maniche, come è stato possibile? E soprattutto, quando è avvenuto?
Erin Griffith, all’epoca giornalista per Wired e oggi columnist del New York Times, aveva trovato la risposta già nel 2018. Quell’anno il mercato i crypto aveva subìto un arresto: un’indagine del Wall Street Journal aveva scoperto che su 1.450 nuovi progetti il 20% di essi costituivano in realtà frodi. Google, Facebook, Twitter, Reddit, Snap e MailChimp avevano vietato la pubblicità sulle cryptovalute. Griffith aveva scoperto che il pubblico non era sparito, ma anzi, sempre più numeroso aveva iniziato a spostarsi sull’app di messaggistica privata e crittografata Telegram.
“Ogni progetto [ogni crypto] ha bisogno di un gruppo Telegram per reclutare utenti e investitori, mantenerli interessati e rispondere alle loro numerose domande – spiegava Griffith – Il modo più semplice per attirare persone verso un gruppo Telegram è regalare denaro gratuito (o meglio, prototipi di ‘monete’ sotto forma di token) ricompensando l’interesse per un progetto crypto non ancora lanciato”. Le compagnie adorano dire che non si fanno pubblicità, ma non è così.
(Non) pubblicità ingannevole
“Bitcoin non aveva budget e nessuna strategia di marketing, ma è diventato un fenomeno virale.”, ha spiegato David Weisberger, amministratore delegato della piattaforma di scambio di cryptovalute CoinRoutes. “Non c’era una vera tattica, ma piuttosto tante strategie diverse da parte di investitori che operavano senza una reale coesione. Bitcoin è il miglior esempio di crescita virale senza marketing centralizzato che abbia mai visto”.
Ma secondo Samuel Scott le cose non stavano (e stanno proprio così). Un conto è parlare di pubblicità, un conto di marketing: “La pubblicità è solo un tipo di promozione, e a sua volta è solo una parte del marketing”, scrive nel suo editoriale. Sui social ci sono anche i “crypto influencer”, divenuti piuttosto popolari, e anche loro hanno un listino prezzi per pubblicizzare le nuove valute o “nuovi progetti” su Twitter, YouTube, Instagram e TikTok.
Il problema? “Ciò che mi fa rimanere scettico attorno alle crypto è il fatto che gli inflencer vengano pagati in dollari”, conclude Scott. E questo perché, come tutti, anche i volti social delle crypto a fine mese una necessità: assicurarsi un’entrata sicura che possa pagare le spese. E i dollari lo sono, i bitcoin (ad esempio) ancora no.