Pretty Princess 2: un film per ispirare piccole femministe (e femministi)

28 Ottobre 2019
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Tra le tante battaglie femministe, che hanno ormai permeato ogni momento e forma di espressione della nostra situazione socio-culturale, c’è quella – importantissima – rivolta all’educazione dei bambini.

 

Alla parità di genere come condizione imprescindibile e naturale. Il processo di abolizione degli stigmi che incastrano da secoli la figura femminile passa attraverso colori, giocattoli e anche racconti.

 

Svampite, inette, eternamente in attesa di essere salvate: queste sono le protagoniste delle più note – e oggi controverse – fiabe per bambine. Elena Gianini Belotti nel 1973 pubblica per Feltrinelli un saggio socio-pedagogico sotto l’emblematico titolo Dalla parte delle bambine, in cui analizza con occhio analitico le fiabe classiche, dall’ingenua Cappuccetto rosso alla sottomessa Cenerentola. Allargando però il discorso anche alle produzioni televisive e cinematografiche per bambini, voglio parlarvi di un film rivoluzionario, dirompente, bellissimo. Il film, insomma, da far vedere a tutte le bambine e anche ai bambini.

 

Quante di voi hanno sognato di essere chiamate fuori dall’aula durante una lezione noiosissima perché un parente mai conosciuto prima d’ora è venuto per annunciarvi che siete le prossime eredi al trono di un piccolo paesino oltreoceano? Di sicuro Pretty Princess (o più comunemente La principessa di Genovia) è stato uno dei film con cui siete cresciute. Se invece col telecomando della televisione provavate ad aprire i cassetti della scrivania e le ante dell’armadio, aspettandovi di essere accecate da diademi e collier, tra le vostre cassette c’era anche Pretty Princess 2: Principe Azzurro Cercasi. Ed è proprio di sequel del 2004 che voglio parlare.

 

Pretty Princess 2, trama e significato

La principessa Mia (interpretata da Anne Hathaway), appena laureata in relazioni internazionali, parte per la piccola, fantastica nazione di Genovia. Dove fa da principessa tirocinante accanto alla nonna Clarisse ( Julie Andrews), regnante ma ormai prossima ad abdicare. Una seduta del parlamento – in cui tutti i presenti sono uomini, fatta eccezione per la regina stessa – porta però alla luce un cavillo legislativo di Genovia. Nessuna legittima erede può salire al trono da nubile. Avete letto bene. Questo, nonostante il paese fosse ormai governato saggiamente dall’anziana regina, rimasta vedova di Re Rupert – “Lunga vita a Re Rupert!” – ormai molti anni addietro. A Mia, appena ventenne, viene dato un mese per trovare marito.

Mia sceglie di non rinunciare alla corona ma neanche all’amore e, già sull’altare in abito da sposa, presenta una mozione. Nella navata della chiesa e nelle case di tutti i telespettatori di Genovia che osservano in diretta, risuonano le parole di una ragazza decisa e sicura di sé, razionale e risoluta. Chiede a nome di tutte le donne che le sia riconosciuta la possibilità di regnare per le proprie qualità, al di là del genere. Qui di solito piango per la prima volta.

Piango la seconda volta a fine film, dopo i titoli di coda, per una delle scene più significative che abbia mai visto. Si apre una nuova seduta di parlamento e, fiere e sorridenti, si accingono a prendervi parte anche delle donne, che indossano a testa alta la tradizionale parrucca bianca all’inglese. Sarà che piango facilmente io o sarà che sento quella vittoria un po’ anche mia. Ogni volta, anche a 21 anni, quando mi sto immettendo nel mondo nel lavoro e mi ritrovo a constatare quanta strada ci sia ancora da fare prima che tutte le donne abbiano la possibilità di indossare la loro parrucca.

 

 

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