È passato quasi un anno da quando, il 28 ottobre 2021, Mark Zuckerberg annunciava in pompa magna la nascita di Meta. Il supergruppo riuniva tutti i social della galassia Facebook e si proiettava nel futuro. Un futuro che, visto il nome dell’azienda, aveva un solo obiettivo: il metaverso. Già, ma quello che abbiamo capito in quest’anno di grandi e piccoli cambiamenti dentro Meta, è che la realtà è ancora desolatamente senza metaverso.
Mentre ci asciughiamo le lacrime per questa rivoluzione mancata, è meglio fare qualche riflessione più a freddo. In un anno Meta ha investito quasi 10 miliardi di dollari per il suo nuovo mondo virtuale, pressapoco la cifra corrispondente alle mancate entrate pubblicitarie del gruppo a causa delle nuove normative in casa Apple. Una cifra decisamente monstre, ma che ha portato scarsi risultati: come mai?
Ci sono molti motivi. Uno è sicuramente il fatto che Zuckerberg abbia annunciato un insieme di funzionalità un po’ troppo avveniristiche per i tempi, a partire dalle questioni tecniche. Se immaginare un mondo virtuale ci può risultare facile, pensare al livello di dettaglio e soprattutto di interazione dichiarati dal buon Mark risulta un po’ anacronistico.
Il problema del lettore
Per accedere a Meta Horizon Worlds è necessario dotarsi di un lettore VR prodotto dall’azienda stessa, chiamato Oculus e ora sostituito dall’appena annunciato Meta Quest Pro. Oltre al fatto che per aggiudicarsi il gioiellino di casa Meta bisogna sborsare quasi 1.800 euro, rimane ancora nebuloso l’uso effettivo. Sì, perché non è ancora chiaro il modo pratico per utilizzare la cosiddetta realtà mista (sovrapposizione della realtà virtuale a quella reale) o il vantaggio di poter tracciare i propri lineamenti facciali, rendendo le caratteristiche di questo lettore a dir poco incomprensibili per un uso attuale. In poche parole, se l’obiettivo è di creare metaversi pienamente funzionanti in una decina di anni, perché spendere tanto ora per un lettore che diverrà presto vecchio senza essere stato effettivamente utilizzato?
Il problema della natura strutturale del metaverso
Il metaverso è in realtà composto da differenti “mondi” prodotti e mantenuti da aziende diverse. Fortnite, Roblox, Horizon Worlds e Decentraland sono i principali, ma ne stanno nascendo molti altri, come quelli progettati da Microsoft o da Nvidia. Lo stesso Zuckerberg aveva parlato di metaverso “decentralizzato”, ma a distanza di un anno la direzione presa sembra essere tutt’altra. Assieme all’annuncio del nuovo lettore VR, c’è stato infatti anche quello di un accordo con Microsoft. L’azienda permetterà di utilizzare Teams e la suite di Office all’interno degli uffici virtuali di Horizon Workrooms (il mondo Meta dedicato al lavoro). Sarà inoltre prevista una futura integrazione con Zoom e un pacchetto dedicato di Adobe con programmi utilizzabili negli ambienti di Meta.
Tutto questo sta a significare solo una cosa: Zuckerberg sta cercando di creare un mondo virtuale collegato ad altri da alleanze strategiche e non da compatibilità sistemiche. In poche parole, al posto di un “nuovo internet” navigabile con diversi browser, ci sarà un mondo gestito da Meta, arricchito da strumenti dei partner commerciali e privo di quelli di potenziali rivali. Insomma, un concetto decisamente lontano dalla possibilità di visitare liberamente mondi virtuali diversi da Horizon.
A completare un quadro sempre più nebuloso il fatto che, udite udite, Zuckerberg ha annunciato che Horizon Worlds sarà disponibile anche su computer e smartphone! La domanda sorge spontanea: ma se devo navigare con mouse e tastiera o dallo schermino del mio smartphone, a cosa serve il metaverso? Semplice, siamo tornati indietro di quasi 20 anni a Second Life (ve lo ricordate?), magari con qualche effetto di interazione in più. Sì, perché Zuckerberg ha finalmente annunciato l’arrivo delle gambe per gli avatar, che incomprensibilmente ne erano privi, veramente un bel passo avanti (la grafica anni 80, invece, è rimasta).
Un po’ di numeri
Ma cosa ne pensano le aziende del metaverso? Diamo qualche dato sull’Italia.
Secondo l’indagine “Il futuro del Web3 e del Metaverso” svolta da The Innovation Group e Web3 Alliance, il 73% delle imprese italiane è interessato da tutto ciò che concerne il cosiddetto web 3.0. Parliamo quindi di virtual reality (VR), augmented reality (AR), blockchain, non fungible tokens (NFT) e anche il metaverso.
Fin qui tutto bene, direte voi. Il fatto è che solo il 4% di queste aziende attua azioni concrete in questa direzione. Il 7% ha un progetto pilota, mentre il 64% è ancora in “fase di studio”. Per quanto riguarda il metaverso, poi, solo il 6% ha già investito su un mondo virtuale, mentre il 9% dichiara che lo farà entro l’anno e il 21% entro tre anni.
Numeri che fanno pensare: lo sviluppo è ancora lungo e c’è il rischio di perdere ulteriore interesse con il passare del tempo. Già ora i dipendenti di Meta sembrano piuttosto perplessi, come si evince da un recente report del New York Times. A quanto pare il progetto Metaverso è associato da molti all’acronimo MMH, ovvero Make Mark Happy, che ben sottolinea il clima di incertezza che regna a livello aziendale. La verità è che non si capisce ancora appieno cosa voglia fare Zuckerberg della sua nuova creatura. Le continue giravolte degli annunci, poi, non fanno che peggiorare le cose.
Secondo un sondaggio interno su circa 1.000 dipendenti di Meta, oltre il 40% ha dichiarato di non avere ancora capito dove l’azienda voglia andare a parare nel lungo periodo riguardo al metaverso. Infine, ciliegia sulla torta, molti dipendenti di Horizon Works non usano il fatidico lettore VR! Sarà difficile quindi vedere utilizzati gli strumenti di Microsoft in breve tempo…
Insomma, il Metaverso assomiglia sempre di più a un mondo virtuale, nel verso senso della parola. Una parabola che rischia appunto di rimanere tale, mentre l’era dei social continua ad attraversare un periodo di inerzia e inevitabilmente ci si interroga sul futuro delle piattaforme digitali.