La parola asporto esiste, ma la cucina chi l’ha mai vista?
Pur se poco poetica, la parola asporto, allevia i nostri lockdown. I più bravi confezionano bene le pietanze da portar via. I bravissimi ci mettono la firma di uno stellato. Ma i fornelli, dove sono?
Anche in Italia, a Milano, dai tempi del Covid è sbarcato un nuovo modello di fare ristorazione: una cucina a tutti gli effetti, ma dove mancano i posti a sedere. Ma c’è lui, l’asporto, il santo protettore del cenare fuori.
In America tuttavia, c’è chi punta il dito sulle cosiddette ghost kitchen, le cucine fantasma. Non è che se ne parli male, ma si fa notare che potrebbero cambiare il modo in cui i ristoranti potrebbero continuare ad esistere con un certo successo sul piano del business.
Con buona pace della nostra smania da asporto, qui non si tratta di semplici esercizi con servizio take away o consegna a domicilio, ma di veri e propri templi del gusto, spesso capeggiati da chef stellati.
Negli Usa sono una realtà che si è ormai consolidata e i ristoranti sempre più spesso si stanno concentrando sulla creazione di marchi che online abbiano un certo appeal, lavorando in collaborazione con le grandi catene che consegnano cibo a domicilio e con le agenzie immobiliari che predispongono cucine ad hoc che vengono affittate.
Si prevede che questa nuova modalità di ristorazione possa fruttare mille miliardi di dollari entro il 2030.
Un modello che abbatte i costi per chi desidera usufruire del servizio e anche per chi decide di avviare una nuova attività. Spesso i costi di un pasto dipendono dalla distanza che il rider deve percorrere per consegnare il cibo, ma il ristoratore non deve tenere conto dei costi fissi che un locale tradizionale comporta, a partire da quello del personale di sala. Inoltre non serve un capitale iniziale, dato che tutto si affitta.
Tuttavia le cucine fantasma, come ogni cosa che richiama il mistero, nascondono alcune insidie. Oltre a privare del piacere della socialità e dell’esperienza di una cena in un particolare locale, il rischio è che queste cucine diventino una sorta di catena di montaggio dove sono sfornati cibi in serie. A scapito della qualità della modalità in cui si consuma una cena stellata. E forse, ma lo sussurriamo soltanto, a scapito dell’igiene.
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