Sono passati ormai tre anni dal rilevamento del primo caso di Covid in Italia. Molte cose sono cambiate in tutto il mondo e, ora come ora, il 2020 sembra un anno assurdo e un po’ delirante, lontanissimo dalla nostra contemporaneità. Eppure, la vita di noi Millennial è cambiata tantissimo in questi anni, a partire dal nostro modo di percepire il lavoro, gli affetti e la salute (sia fisica che mentale). Gli effetti post pandemia sono ancora presenti e quell’anno incasinato ha cambiato a poco poco il nostro quotidiano, in negativo, ma anche in positivo per certi versi.
I Millennial e Gen-Z sono molto più attenti ai risparmi
La scorsa estate un’indagine di Fortune ha rilevato che, rispetto al livelli precedenti, la propensione al risparmio è aumentata del 12,6% post pandemia. In particolare, la fascia d’età tra i 20 e 30 anni, pur con stipendi più bassi, è quella che ha mostrato una tendenza maggiore a mettere da parte soldi per costruirsi un futuro. Complice anche l’inflazione, che ha impedito a molti giovani, soprattutto americani, di investire i propri soldi. Secondo una stima di CNBC, tra i Millennial americani che avevano intenzione di comprare casa nel 2022, il 92% ha dichiarato di aver trovato difficoltà proprio per questo motivo. Molti hanno quindi preferito tenere da parte i propri soldi cercando tempi migliori per accasarsi.
Nuovi modi di vedere il lavoro: la rivincita dei nomadi digitali
Tre anni fa lo smart working è esploso come unica modalità di lavoro consentita nei tempi di emergenza sanitaria. Quando però è stato possibile tornare in ufficio, molti giovani tra i 19 e i 29 anni si sono resi conto che molte mansioni potevano benissimo essere compiute da casa. Si sono perciò diffuse diverse modalità ibride di lavoro nate post pandemia: due giorni in ufficio, tre in smart sembra essere la formula perfetta. E così, i Millennial hanno scoperto che si può lavorare al computer dietro la rilassante cornice di una spiaggia soleggiata.
Si chiamano nomadi digitali: sono tutti quei lavoratori che hanno deciso di svolgere le proprie mansioni in giro per il mondo, prediligendo le avventure e la salute mentale alla stabilità di una casa. Questa modalità di vita sembra essere il sogno di diversi Millennial, tanto che sono nati diversi progetti per incentivare lo smart working. Spazi di lavoro condiviso alle Canarie, alberghi studiati appositamente per giovani globe trotter e offerte di lavoro sempre più improntate sul digitale.
Traumi reconditi e rischio di burnout
Ma non è tutto oro quello che luccica. L’impatto di smart working, isolamento e di due anni di puro casino mediatico è stato fortemente negativo per molti Millennial. Diversi trentenni sui social dichiarano di sentirsi come se la pandemia avesse sottratto loro gli ultimi anni di spensieratezza, catapultandoli nel mondo degli adulti. Lo smart working non è piaciuto a tutti e tantissimi giovani hanno vissuto l’isolamento come deleterio per la salute mentale. Inflazione e crisi hanno aumentato la disoccupazione giovanile ed incrementato il rischio di burnout al lavoro. Insomma, a tre anni dall’inizio della pandemia, sono molti gli aspetti su cui dobbiamo lavorare, cercando soprattutto di non abbandonare i giovani a se stessi e aiutarli a scrollarsi di dosso il peso di un futuro sempre più complicato.