C’è qualcosa che risuona in noi da quando Michela Murgia ha reso nota la sua malattia. Non si tratta di compassione, di senso di pietà o di quel velo di tristezza inconscia che tende a scaturire spontaneamente alla parola “cancro”. Pensando a Michela Murgia viene in mente la parola coscienza, ma soprattutto viene in mente la vita, in tutte le sue straordinarie sfumature.
Non c’è cosa peggiore del cominciare a parlare di una persona solo quando questa annuncia di essere malata gravemente. Succede molto spesso e forse è un meccanismo insito negli essere umani, ma è tremendamente fastidioso. Persone che di punto in bianco cominciano a pubblicare fotografie con tanto di dediche e persone che improvvisamente si ergono “fan” del soggetto per ottenere qualche like. Succede sempre così, ma non è così che funziona.
Michela Murgia non è conosciuta per la sua malattia, Michela Murgia è conosciuta per la sua professione (ha cambiato dieci lavori ma la maggior parte del “grande pubblico” la conosce in quanto scrittrice), per la sua professionalità e per la sua figura, talvolta scomoda, di attivista. Scomoda, sì, ma necessaria, soprattutto oggi, soprattutto ora.
Michela Murgia ha il cancro e lo ha raccontato in un modo così liberatorio e sereno che è quasi devastante. Una botta allo stomaco fortissima, di quelle che non ti aspetti e che allo stesso tempo, passati tre secondi, diventa quasi catartico. Nonostante il cancro, la scrittrice sarda sta continuando a vivere la sua vita a 360°, forse anche di più. L’idea è quella che il tempo che le ha regalato la malattia è il tempo più bello, il che sembra paradossale, ma per lei, ora, è esattamente così.
Fare tutto ciò che vuole, spuntare tutti i desideri della “lista della vita” e stare con le persone che ama. Niente tanatofobia per lei, che accoglie ogni giorno con il sorriso. Com’e che canta Marracash? «Non temo la morte ma ho paura di non vivere» e forse è proprio qui che risiede la vita.
La famiglia di Michela Murgia è ibrida, ma che cosa vuol dire e perché non è capita?
La storia di Michela Murgia è una storia piuttosto complessa, ma comunque felice. Un padre violento che non ha mai perdonato, una vita fatta di dieci vite e una famiglia che lei stessa ha definito ibrida. Il concetto, ancora molto discusso e incompreso, è in realtà molto semplice: la famiglia sono le persone con cui instauri un legame solido e intimo, non per forza legato al sangue e alla biologia. L’immagine della famiglia tradizionale, della mamma e del padre e dei due bambini è ormai obsoleta, non esiste.
Per Murgia la famiglia è aperta, è libera, si vive a pieni polmoni e per sempre: «Due non basta», ha affermato la scrittrice nella sua ultima intervista rilasciata per Vanity Fair, in cui compara il concetto di famiglia ibrida (o queer) all’immagine dei nuraghes, le tipiche torri della Sardegna.
La famiglia ibrida accoglie e raccoglie più cuori e quando uno cade, ce ne saranno tanti a raccoglierne i pezzi. Non più uno e uno, col rischio di vedere cadere e di cadere senza poi più rialzarsi. La famiglia ibrida è il sostegno per restare a galla.
Insomma, sarà pure una figura discussa e criticata, ma la visione di Michela Murgia è probabilmente troppo avanti per questo mondo e finché possiamo cerchiamo di ragionare con lei e di provare a cambiare le cose.
Tre libri di Michela Murgia da lettere assolutamente
La bibliografia di Murgia è ricca di volumi: saggistica, narrativa, contributi di vario genere. Le parole fanno parte della sua vita e viceversa, ma che cosa leggere se ancora non ci si è tuffati nel magico stile di Michela Murgia? Morgana, storia di ragazze che tua madre non approverebbe, senza ombra di dubbio, Stai zitta! E altre nove frasi che non vogliamo sentire più e, ovviamente l’ultimo romanzo, Tre ciotole. Rituale per un anno di crisi. Ricordate il pugno allo stomaco dell’inizio? Ecco, tenetevi serenamente pronti.