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Niki de Saint Phalle: l’artista che ci insegna come guarire dalla depressione da soli, con l’arte

la forza è donna, l'arte è cura dell'anima

29 Aprile 2018
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Niki de Saint Phalle sin da giovane mostra un’inclinazione artistica: si dedica alla letteratura, al teatro, al cinema e posa come modella per Vogue. Per una grave crisi nervosa Niki viene ricoverata in un ospedale di Nizza. Scopre nella pittura la sua terapia e dimostra al mondo come guarire dalla depressione da soli, con l’arte.

Nei primi anni Sessanta Niki de Saint Phalle realizza i Tiri o Shooting paintings: una serie di azioni durante le quali il pubblico o l’artista stessa, priva di paure, spara con un fucile su sacchetti di pittura che esplodono su dei rilievi di gesso.

Nessuno sa da dove nasce la violenza che esprime, e neppure il gesto trasgressivo che la salva. Ma in molti di questi dipinti era tracciata una sagoma di figura maschile. «Nel 1961 ho sparato su mio papà, su tutti gli uomini, sui piccoli, sui grandi, sugli importanti, sui grossi, su mio fratello, la società, la chiesa, il convento, la scuola, la mia famiglia, tutti gli uomini, ancora su mio papà, su me stessa». L’artista, infatti, attribuiva a tali spari una funzione terapeutica e anche di vendetta nei confronti soprattutto del padre, che da piccola accusò di aver tentato di abusare di lei.

Una donna energetica che, negli stessi anni, realizza Le Nana colorate, gioiose e potenti. Sono l’espressione di un femminismo sorridente e individualista. «È andata via anche la sofferenza e io mi sono ritrovata nell’atelier a fare creature gioiose, in gloria della donna» – come la stessa Niki de Saint Phalle spiegava: l’arte è stata la sua rinascita, la sua salvezza. Da questa liberazione, che diventa quasi un esorcismo dei suoi demoni, nasce un’arte trasgressiva e piena di vita.

Queste sculture si ingigantiranno fino a diventare delle Nanacase, come la monumentale e provocatoria Hon, una gigantesca Nana incinta, costruita nel 1966 per il museo di Stoccolma. Dove, per capirci: si entra dalla vagina, nel seno sinistro vi è un piccolo planetario mentre nel seno destro un bar.

«Le Nana simboleggiano per me le donne libere, serene, sicure di sé: sono donne che hanno conquistato il proprio potere ma anche il lato femminile di ognuno di noi, donna o uomo. Rappresentano il mondo della donna amplificata, la follia di grandezza delle donne».

Le opere di Niki de Saint Phalle si alternano sempre tra l’aspetto giocoso e la violenza. Infatti, dopo le allegre Nanas arrivano le Madri divoratrici, grottesche e terrorizzanti.

Nel 1979 Niki,  insieme al suo ormai secondo marito, comincia a lavorare al Giardino dei Tarocchi a Garavicchio, in Toscana. Opera ispirata al Parco Güell di Gaudì di Barcellona, è composta da 22 sculture monumentali, ispirate agli arcani maggiori dei Tarocchi, alcune delle quali sono abitabili.

«Voglio essere superiore: avere i privilegi degli uomini e in più conservare quelli della femminilità, continuando a portare dei bei cappelli. Avevo deciso di diventare un’eroina. Chi sarei stata? George Sand? Giovanna d’Arco? Napoleone in gonna?» spiega in diverse interviste e poi rivolgendosi alla madre dice: «Madre mia, non vi assomiglierò. Avete accettato ciò che vi era stato trasmesso dai vostri genitori: la religione, i ruoli maschile e femminile, le idee sulla società e la sicurezza». Invece «io passerò la vita a farmi domande, mi innamorerò del punto interrogativo».

Dal connubio tra il linguaggio dell’arte e le dimensioni dell’architettura, nasce il parco: frutto di un lavoro interiore e di significati simbolici ed esoterici. Infatti, Niki de Saint Phalle incide sulle stradine del parco appunti di pensiero, memorie, numeri, citazioni, disegni, messaggi di speranza e di fede, snodando un percorso materiale e soprattutto spirituale. L’artista si interroga sul materno, sul concetto di nascita-rinascita, sulla volontà creatrice. Anche la scelta dei colori non è casuale:  vedi la forza creatrice del rosso, la vitalità primigenia del verde, la purezza del bianco, la spiritualità e l’intelligenza dell’oro. Così come il blu, segno «della profondità del pensiero, del desiderio ardente e della volontà» o  il nero indice «della vanità e i dolori del mondo».

Era il suo destino creare un giardino di gioia. Una risposta incarnata alla domanda su come guarire dalla depressione da soli con l’arte. Un giardino dove le persone possano essere felici. Come lei stessa disse «Ho avuto fortuna a incontrare l’arte, avevo tutto per diventare una terrorista».

 

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