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Sgarbi in Parlamento o Gesù sotto la croce?

25 Giugno 2020
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Quattro commessi parlamentari lo circondano. Uno si china e lo solleva dalle gambe mentre un altro lo regge da sotto le ascelle. Poi gli altri due si aggiungono a dar man forte. Nel frattempo quello continua a parlare ma finalmente si zittisce e solleva le braccia senza mollare la carpettina che impugnava con la mano destra. Alla fine dei gradini dell’emiciclo, mentre quello ormai sembra arreso, un quinto commesso si aggiunge e lo solleva dalla schiena. La folla grida «vergogna». Non si capisce se contro i commessi o contro l’arreso.

Segnate la data: 25 giugno 2020. Perché quello odierno è un gradino sopra la media, Vittorio Sgarbi ha disegnato uno dei suoi capolavori. «Mi volevano deporre, ma mi hanno solo momentaneamente spostato», ha detto lui paragonandosi a Gesù Cristo in persona. Di vero c’è che si è fatto buttare fuori dal Parlamento in grande stile, come neanche il peggiore degli ubriaconi in discoteca. Anche se più che uno sbronzo, il nostro notoriamente è uno stronzo. Un orgogliosissimo stronzo. Un rompiscatole specializzato, bello, qualche volta perfino lucido, che deve sempre dire la sua, soprattutto quando è controcorrente. Quindi spesso e volentieri.

 

E lo fa a modo suo. Un modo talmente suo che la sua fama lo precede. Per cui oramai non importa il contenuto delle parole del nostro Vittorione Sgarbi. Può dire giusto o sbagliato, in Parlamento come in tv, su Facebook come al cesso, non importa. Con Sgarbi conta solo il modo e non delude mai.

Le prime volte che lo vedi può farti antipatia, sopratutto se non sei d’accordo con lui, poi con il passare del tempo ti conquista comunque perché impari a non prenderlo sul serio anche quando dice il giusto. Vittorio Sgarbi per noi millennial è una canzone in una lingua straniera che non conosci ma che ti piace lo stesso solo per il ritmo, per i toni, per l’esecuzione. E chi se ne frega del contenuto. Ti piace lo show e te lo godi tanto non spetta a te giudicare.

A Montecitorio, l’esperto d’arte si è scagliato prima contro la magistratura. Poi, a quanto si è capito, contro alcune colleghe che non avevano apprezzato quella pioggia di verità scaraventata giù dalla nuvola del nostro. E ricordate: verità o meno non importa affatto. Lì contava l’assolo, l’esecuzione, la capacità di entrare in empatia con il pubblico.

 

Quello che non aveva compreso nessuno era che quel minuto e passa di discorso e gli insulti successivi non erano altro che il preambolo per lo spettacolo vero e proprio. L’unica ad averlo capito, la sua spalla perfetta, è stata la vicepresidente Mara Carfagna. «Non può offendere i suoi colleghi, non può pronunciare parolacce», gli ha detto mentre lo faceva tirare fuori dal locale dai buttafuori: «Ha trasformato quest’Aula in uno show». E che show, aggiungiamo noi con i popcorn in mano convinti che la faccenda non finiva lì.

E infatti, poco dopo Vittorione, come un vero one man show, ha affidato al suo ufficio stampa e Facebook il colpo di coda contro le colleghe che se la sono presa senza capire il vero spirito della performance. «Non si può, come fa Giusi Bartolozzi, difendere astrattamente la magistratura senza ricordare di essere stati candidati dalla vittima più bersagliata della magistratura italiana, Silvio Berlusconi. Se Forza Italia oggi – ha urlato sulla tastiera – è ridotta a numeri di prefisso telefonico è anche per questo. Perché alle battaglie di principio, ‘ quella per una magistratura indipendente e non politicizzata, si sono sostituite le battaglie del tornaconto personale». E il colpo da maestro, prima dei titoli di coda: «La Sarti? Senza lo stipendio di parlamentare può solo lucidare scodelle».

 

 

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