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Dilemmi tessili: 11 novembre, festa del velluto a coste

8 Novembre 2017
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Viaggio ragionato nel tessuto bipartisan per eccellenza: il velluto a coste, a cui l’11 novembre si dedica una giornata mondiale. Una storia di Dogi, tessitori persiani, studenti in rivolta.

C’è stato un tempo in cui la Tv, e la società, erano 0k, cioè zero k. Visto che il tubo catodico sfuocava tutto. Era meglio uscire e vedere dal vivo che cosa succedeva.
Prima del Marketing, davvero era Tutto intorno a noi. E ce ne accorgevamo. Così, facilmente, e senza la trappola dell’etimologia non offensiva, si diceva pane al pane etc.etc.
Chi abitava a destra aveva il Loden, la Lana Cotta, il Tweed. Chi viveva sulla riva sinistra indossava jeans, Eskimo, e il Velluto a coste.

Dalla Persia alle okkupazioni

Eccola lì, la Riforma luterana coniugata al Tessile. Da tessuto di mitiche e preziose origini persiane, da simbolo della manifattura dei Dogi, il Velluto preferì coprire e scaldare e proteggere corpi di studenti in perenne riunione di comitato, in sedute di analisi di gruppo senza soluzione di continuità, con il sudore che lasciava screziati aloni su questo tessuto dai nobili natali.
Si mormora, ma tracce scritte non se ne trovano, che anche Mao volle farsi fare un completo in velluto, che aveva visto indossato da Krusciov, che lo aveva copiato dal mausoleo di Lenin e via discorrendo…

Il velluto e l’Intellighenzia

Ma l’apoteosi culturale del Velluto a coste, la sua consacrazione a tessuto dell’Intellighenzia mancina, fu il nome scelto da una cult band newyorkese: Velvet Underground. Le sottintese allusioni al sesso, insite nel nome, diedero al tessuto l’indispensabile aurea di trasgressione morale necessaria per un successo planetario. Rimane ancora oggi qualche Polaroid di indomite sartine mentre confezionano mutandine vellutate, fianco a fianco dei loro compagni, intenti a ciclostilare la Protesta Globale, in scantinati d’edilizia popolare.

Il velluto nei film

Una certa filmografia d’élite, sensibile alle tendenze giovanili, inserì il Velluto nel titolo di un film del Molleggiato, volendo strizzare entrambe gli occhi, uno al popolare popolo del grande schermo, uno all’avido produttore cinematografico, con la conseguenza di auto-infliggersi una crisi simil-epilettica da riflesso vagale.

Le risse con Fustagno

Alcuni critici d’arte si mandarono esplicitamente a fankulo discutendo se la giacca in primo piano nel Quinto Stato fosse in Velluto o in Fustagno, scatenando le ire degli amanti del Terital, tessuto sintetico, moderno, economico, che quindi nessuno si filava.

Che cosa c’entra la Vellutata

Un giovane Gualtiero Marchesi, un giorno, mentre posava per un ritratto preraffaellita facendo dondolare sulle proprie ginocchia un Carlo Cracco infante, notando i pantaloncini in velluto del bimbo, ebbe un’idea folgorante, la Vellutata, la zuppa che fu subito icona.

La Controriforma del tessuto post industriale

Ma ogni Riforma che si rispetti ha la sua nemesi, la Controriforma. Così, il Velluto comparve su giacche inglesi idrorepellenti e populista-ributtanti, le giacche da caccia alla volpe, da Clubhouse di maneggi patrizi. I servizi segreti deviati pretesero che comparisse nel titolo di un film italiano del terrore, per insinuare una subliminale tendenza a portar sfiga di questo tessuto.

L’umarell e la sua giacca

Oggi, pensionato da tessuti alternativi, il Velluto copre e scalda e protegge i pensionati, gli umarell, che in piedi e sulle panchine, sono dappertutto intorno a noi.

Buona festa del velluto a coste a tutti

Cristiano Rebuffat

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