Il fondatore della società più attiva nel rapporto uomo-macchina ci spiega come evolverà l’incontro tra il pensiero e l’algoritmo. Ci aspettano 10 anni di rivoluzioni, siamo pronti?
Quando il più vecchio dei millennial era un brufoloso 12enne, Maurizio Mesenzani era già alla Boston University e di sicuro non aveva il problema di spiegare a qualcuno la parola “metadati”. Oggi è il CEO di Bsd design e membro di altre agenzie e scuole di business managing dell’era Industria 4.0.
La Bsd design, specializzata in interfacce di navigazione è una sua creatura (con altri soci). La parola design non tragga in inganno. Qui si tratta di uno strumento chiave per la relazione con i clienti. Una qualsiasi azienda telefonica oggi basa le sue strategie di vendita e fidelizzazione sulle proprie aree clienti e quindi chi la disegna può cambiare le sorti di un’offerta o addirittura di un’azienda.
Ma 25 anni fa Maurizio Mesenzani si occupava già di intranet e di motori di ricerca. E per la maggioranza delle persone, anche laureate, la conoscenza del web si limitava alla trama di War Games, ovvero due telefoni che si parlavano per combinare casini a scuola e innescare missili atomici.
Database, pagine interattive, interfacce di navigazione, erano tutti servizi “telematici”, misteri e magie di un mondo che avanzava e pre-pensionava il fischiettìo molesto dei fax. Era già abbastanza evidente che nel giro di qualche anno, Mesenzani sarebbe diventato protagonista dietro le quinte della stagione dorata in cui Omnitel conquistava il mercato con i servizi di telefonia.
Pionieri della usability
Perché c’è stato davvero un tempo, a cavallo tra i Novanta e gli Zero, in cui gli spot Omnitel te li sognavi di notte. Per le tariffe, certo, per le colonne sonore di Cher, certo. Ma anche per la bellezza di Megan Gale le cui avventure, tra casinò e guerriglie, accendevano il grande feticcio di fine millennio: il telefono cellulare.
Sono stati gli anni euforici del marketing tecnologico, con i debutti sul mercato di aziende che hanno fatto la storia della Rete come servizio ai consumatori: da ING direct a Fineco si proponeva qualcosa di mai visto prima. «E per farlo si studiavano nuove modalità di interazioni di valore», spiega Mesenzani, ricordando il periodo pioneristico, «il marketing era pronto a parlare direttamente con gli utenti, a seguirli nell’approccio al bisogno, alla soluzione di acquisto e al servizio post-vendita».
E community fu
Quando parliamo del fatto che le community si formano spesso intorno a prodotti o interessi che coinvolgono la produzione e la vendita (la moda, la tecnologia, il gaming, solo per citarne alcune) dovremmo ricordare che è stato in quegli anni che le aziende hanno cominciato a mettere a punto le architetture informatiche di customer service che sono risultate nel tempo miniere di metadati, pronti per ricerche di mercato predittive e profilazioni di nicchie di consumatori.
Fu una sorta di rivoluzione copernicana, «l’utente cominciava a essere considerato come comunità sondabile, aprendo la strada a tutto quello che è successo nel decennio 2010-2020. Anni nei quali Maurizio Mesenzani ha deciso di correre da solo acquistando nel 2012 la BSD, società fondata da Sebastiano Bagnara e attiva dal 1990 sui temi dell’interazione uomo-macchina: «Era necessario creare nuovi processi e strumenti per supportare le aziende nelle strategie di moltiplicazione dei prodotti». Da allora ha studiato soluzioni manageriali e di CRM per grandi aziende come Fiat FGA Group, Vodafone, H3G, RCS e molti altri.
Ma forse è vero che la visione professionale di un uomo fa un salto di qualità quando sente la vocazione all’insegnamento. Quando vuole creare un ponte con le generazioni e spiegare loro come ogni innovazione non sia altro che un contributo a un insieme, a uno scenario che ha e deve ancora avere l’uomo al suo centro.
Il nuovo Deus Ex Machina
Le riflessioni di Maurizio Mesenzani, con il suo ricco curriculum universitario da formatore, su Dad, smart working e post pandemia, sono puntuali dimostrazioni che è inutile perdersi nell’illusione di un percorso segnato: «Il grande tema per le generazioni oggi è l’umano che si rapporta all’intelligenza artificiale. Durante questo periodo le aziende hanno capito che un’automazione totale e definitiva nella comunicazione con i clienti non è più così auspicabile come si prevedeva. Le self area di servizio dei siti, giunte a gennaio 2020 alla quasi perfezione nell’autogestione hanno mostrato alle aziende quanto fosse fondamentale il mantenimento della “relazione” con il cliente».
Insomma, all’improvviso è arrivata una brusca frenata sulle chatbot promozionali, sui canali più ostici ai boomer. Ed ecco un’altrettanto brusca virata verso le nuove modalità interattive: «Video collaborativi, incontri a distanza tra persone vere che si parlano, Zoom e Teams che la fanno da padroni nelle case e negli uffici»
Quanto queste fulminee innovazioni impattino sulla difesa della privacy, sul rapporto tra vita personale e professionale, è una delle faq più comuni che si fanno a Maurizio Mesenzani.
La fiducia delle persone
Serve accortezza, educazione alla scelta ponderata dell’utente: «Le regole di tutela dei dati hanno aumentato le potenzialità della tecnologia. È possibile regolare un flusso automatico di informazioni che tuteli i miei dati e contemporaneamente mi consenta di ottenere un carro attrezzi scrivendo il numero di targa? Loggare, identificare, geolocalizzare, attivare un servizio a un utente in tempo reale è un insieme di azioni che devono poter contare sulla fiducia totale. E questo ci pone di fronte a nuove professionalità che oggi ancora non vediamo o non immaginiamo».
Tocca il tasto dolente. La tecnologia e il lavoro, o meglio, nel sentire collettivo “la tecnologia e la perdita del lavoro”. Ma Mesenzani è un ottimista: «Secondo le ricerche della McKinsey, (storica società di consulenza manageriale, ndr), le grandi trasformazioni incrementano i posti di lavoro. E succede così dal 2010. Il lavoro che decresce semmai è quello con un basso livello di specializzazione. In cima alle richieste di nuove professioni c’è il data analysis specialist, l’analista dei dati».
Il lavoro nobilita l’algoritmo
Paradossalmente ciò che tutti pensavamo si sarebbe ridotto a essere un lavoro per macchine, ovvero calcolare e restituire risultati pronti all’uso, è il mestiere del futuro per le persone reali.
Perché l’umano è essenziale, con la sua unicità e la sua cultura filosofica, artistica, letteraria. Ai livelli più raffinati l’intelligenza artificiale non ha elementi a sufficienza per cavarsela da sola: «Creare strategie non è un lavoro da robot, richiede la capacità di connettere tante fonti di dati con discipline come la linguistica, la semantica, la sociologia. Una modalità di lavoro ecosistemica e dinamica».
Verso un nuovo Tao del Web?
Insomma il messaggio sembra chiaro, la relazione tra i dati e il pensiero è a una svolta, è entrata definitivamente in quel gioco descritto da Fritjof Capra nel Tao della Fisica. Il meccanicismo alla Newton lascia spazio alla filosofia Zen, o, meglio, visioni del mondo che parevano incompatibili si uniscono per l’Uomo.
Alzi la mano chi non vorrebbe avere un consulente con queste capacità di visione.
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