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Zlatan Ibrahimovic a Sanremo certifica che il pallone non è più il core business del calcio

7 Marzo 2021
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C’abbiamo provato, giuro c’abbiamo provato con tutte le nostre forze a starne fuori, ma alla fine non ce l’abbiamo fatta.

Zlatan Ibrahimovic al Festival di Sanremo non ci ha lasciati indifferenti, anzi. È l’estrema sintesi di un millennial all’ennesima potenza che assieme unisce egocentrismo in quantità cosmiche, capacità imprenditoriali multitasking e la tacita vocazione di tutti coloro cresciuti a ‘Gloria’ e ‘Uomini Soli’ che almeno una notte nella loro vita hanno sognato di essere sul palco dell’Ariston.

L’esperimento di Ibra-Sanremo però non si limita a questo, é molto di più. È pura fantascienza e vi spieghiamo perché. Prendete la macchina del tempo e fate un salto negli anni ‘90. Adesso ditemi voi se qualcuno si sarebbe mai sognato di vedere il capitano del Milan, in piena corsa scudetto, prendersi su da Milano e andarsene in Liguria per una goliardata, seppur pagata bene.

Ibrahimovic a Sanremo è il futuro del calcio

È il sintomo che il calcio non è più il core business di questo sport altrimenti non si spiegherebbero i milioni di followers per Balotelli, praticamente un ex calciatore a grandi livelli. Nossignori, il campo è il pretesto non la soluzione. Un espediente per farsi conoscere e continuare la carriera nello showbiz, così è se vi pare. Se di Gollini ricordiamo più le rappate delle parare, significa che il dado è tratto.

Andiamo però ad analizzare le apparizioni di Dio Zlatan all’Ariston. A parte le finte risate di Amadeus che sembrano più forzate dei finti applausi, Ibrahimovic si è distinto per il vestiario. Certo, che da uno che ha 300milioni e un’isola, ci saremmo aspettati più buongusto che il proprio soprannome scritto come note musicali sul taschino. Senza parlare della camicia color jeans su giacca nera della prima sera, ma andiamo avanti.

Il ruolo di Ibra a Sanremo?

Il copione è chiaro, il boss del calcio deve poter strappare un sorriso sfoderando arroganza e antipatia verso il genere umano. Ci riesce a volte, altre è troppo anche per lui. L’arrivo in motocicletta fingendo di essere rimasto a piedi con la macchina non sembra c’entrare col personaggio. L’odio verso i cantanti, troppo distanti da quel mens sana in corpore sano che va predicando da anni, era fin troppo scontato.

Ma Dio Zlatan (la sua storia) lo sa e quasi si piega al volere degli adepti assolvendo dai propri peccati quella mandria scompigliata di cantanti spettinati. Il tentativo, financo palese, è di trovare un avversario all’altezza come Lukaku, e non trovandolo lo cerca disperatamente. Perché si intuisce che non è il suo campo. Nel calcio, le sue frecciatine sono mirate, chirurgiche, spietate, qui fuori contesto rischiano di essere banali.

Ibrahimovic e il suo alter ego fuori dal rettangolo verde

Il fiume però ha esondato, il sentiero è stato tracciato. Le future generazioni di calciatori dovranno preoccuparsi, e lo diciamo da tempo, di trovarsi un personaggio, di crearsi un alter ego fuori dal rettangolo verde. Il calciatore così com’è, alla Messi o alla Ronaldo, non interesserà più.

Quante triplette deve realizzare uno prima di balzare agli onori della cronaca? Forse nessuna se su Instagram saprà vendersi bene. Zlatan Ibrahimovic questo lo ha capito benissimo. L’unica cosa forse che non gli sarà del tutto chiara sarà questa: qualcuno, alla fine, secondo voi gliel’ ha detto che Amadeus è interista?

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