Dal soft power alle piattaforme: come lo sport rivoluziona la comunicazione
Lo sport è un fortissimo elemento di soft power, usato da democrazie e dittature per catturare consenso, esibire potere, sedare rivolte, dettare agende
Almeno dal 1954, anno di trasmissione della prima partita di calcio in diretta sulla RAI (per inciso, Italia-Egitto) sappiamo che lo sport per molti aspetti guida e anticipa i fenomeni di comunicazione di massa.
Sappiamo anche che lo sport è un fortissimo elemento di soft power, usato da democrazie e dittature per catturare consenso, esibire potere, sedare rivolte, dettare agende.
Se Hitler chiamò l’enorme Leni Riefenstahl a raccontare la monumentalità di Monaco 36, per le democrazie giovani come quella italiana il calcio nei bar divenne uno dei modi per costituire una comunità e una identità nazionale. Lo sport non è mai solo sport, non è mai solo competizione, risultato, estetica (per quanto il rovescio di Roger Federer sia uno dei motivi principali per cui scrivo), ma è spesso e soprattutto affari e potere.
La rivoluzione globale: dallo sport al fenomeno digitale
Dispiace che il dibattito generalista ignori una trasformazione mondiale e radicale in atto, nella quale, come spesso accade, Italia ed Europa sembrano essere più spettatori che protagonisti.
Non c’è più solo il racconto degli eventi, la trasmissione delle immagini, ciò che diventa protagonista è la costruzione di ecosistemi capaci di coinvolgere milioni di fan su scala globale, sfruttando dati, storytelling e tecnologie digitali.
Brand come la Formula 1 e la NBA stanno facendo di questa evoluzione una priorità strategica, trasformandosi in piattaforme globali che integrano contenuti, merchandising, e-commerce e interazione diretta con il pubblico. E non sono sole: leghe sportive di combattimento come la Ultimate Fighting Championship negli Stati Uniti e ONE Championship per il sud-est asiatico hanno intrapreso lo stesso percorso, (e la prima è diventata addirittura un fenomeno politico capace di catturare e orientare consensi elettorali negli Stati Uniti).
Drive to Survive: lo storytelling che trasforma il gioco
La Formula 1 era considerata un prodotto elitario e stagnante fino a pochi anni fa. L’arrivo di Liberty Media ha ribaltato tutto, lanciando una docuserie Netflix come Drive to Survive che ha catturato milioni di spettatori, molti dei quali giovani e completamente nuovi al mondo dei motori (e proprio mentre scrivo guardo, con sentimenti profondi e ambivalenti, la nuova serie “Senna”). Questa serie ha dimostrato il potere dello storytelling per coinvolgere un pubblico sempre più distante dai canali tradizionali, dove clip di gare e commenti sui social si mischiano diventando nuovo contenuto pronto a essere macinato da nuovi pubblici sempre più rumorosi, che non necessariamente guardano le gare per intero.
Parallelamente, la NBA ha creato un modello in cui ogni partita, ogni star e ogni clip diventa parte di un flusso ininterrotto di contenuti pensati per il web. LeBron James non è solo un atleta, ma una piattaforma vivente che combina social media, advocacy e business (e qui rubo l’intuizione dallo splendido podcast di Giorgio Terruzzi, Carlo Pastore ed Emilio Cozzi, dove gli autori sostengono che LJB stia approfittando del suo essere una piattaforma per cercare di cambiare in meglio la società in cui vive).
Dati e amore: la nuova moneta delle piattaforme sportive
L’NBA investe massicciamente in tecnologie digitali e nella personalizzazione delle esperienze dei fan, trasformando ogni interazione in un’opportunità di monetizzazione e fidelizzazione.
Ma, soprattutto, questi brand, perché la premessa necessaria per diventare piattaforme è essere un love brand, stanno centralizzando la trasmissione dei contenuti, delle immagini, delle partite, delle gare.
Hanno capito che il dato è più importante del denaro che le emittenti televisive tradizionali, gratuite o a pagamento, dava loro per prosperare. Vedrete grandi cambiamenti nei prossimi anni, perché questi sono già in atto.
Partite e gare, incontri e interviste, vengono proposte in modo centrale dalle App delle leghe e delle federazioni e orchestrate con strumenti automatizzati di marketing e vendita. L’esempio della Formula 1 è emblematico: sprigiona infatti tutto il potere della suite Salesforce, sponsor onnipresente nelle competizioni e nelle trasmissioni. Strumenti di questo tipo catturano dati e segnali, li elaborano grazie all’intelligenza artificiale, e propongono contenuti e opportunità di vendita altamente profilate alla grande massa del pubblico mondiale, raccogliendo nicchie e trasformandole in fiumi di denaro.
Superlega e calcio italiano: un’occasione mancata
Questo era il punto della fallita Superlega di calcio Europea: quello che non sono in grado di fare i club calcistici italiani, per esempio, ancora legati a modelli di ricavo e di potere vecchi e sorpassati dalla storia.
Il calcio italiano appare prigioniero del passato. La sua narrativa rimane chiusa in schemi tradizionali, incapace di sfruttare appieno le potenzialità del digitale. Con un’età media dei tifosi in aumento e un engagement sempre più basso tra i giovani, il rischio è quello di diventare un prodotto irrilevante su scala internazionale.
Le squadre di Serie A faticano a vedere i propri giocatori come asset narrativi o come ambasciatori digitali globali. La mancanza di iniziative innovative—come docuserie o esperienze immersive—amplifica il divario con altre leghe europee. L’Italia non sta solo perdendo spettatori, ma intere generazioni, e una cospicua opportunità di guadagno.
Le sfide dello storytelling: tra emozione e autenticità
Certo, questa trasformazione porta con sé elementi negativi: ho un caro amico che ama visceralmente lo sport, ed è legittimamente spaventato che l’evoluzione di quello che amiamo in piattaforma digitale snaturi completamente il senso della competizione. Sono preoccupazioni fondate.
Le piattaforme sportive, costruite per generare emozioni e coinvolgimento continuo, hanno bisogno di storie forti, di rivalità epiche e di eroi riconoscibili. Questa narrativa, però, può diventare un peso, spingendo le organizzazioni sportive a creare artificialmente tensioni o colpi di scena per mantenere alto l’interesse del pubblico.
Prendiamo la Formula 1: nella stagione 2021, il duello tra Lewis Hamilton e Max Verstappen è stato visto da molti come una delle competizioni più emozionanti di sempre. Tuttavia, l’ultimo GP ad Abu Dhabi ha sollevato enormi polemiche: le decisioni della direzione gara sono sembrate orientate a favorire un finale drammatico, più che a rispettare le regole sportive. Questo episodio ha alimentato il sospetto che, in un’epoca dominata dallo storytelling, l’integrità sportiva possa essere sacrificata per offrire una storia più coinvolgente.
Anche nell’NBA, la necessità di mantenere vivo l’interesse del pubblico si riflette in dinamiche che talvolta suscitano critiche. L’accento posto su star come LeBron James o Stephen Curry non è solo una questione di meriti sportivi, ma anche di appeal commerciale. Il “narrative-driven MVP”, un termine usato per descrivere il premio di miglior giocatore basato sulla storia più avvincente piuttosto che sulle pure statistiche, evidenzia come le storie possano alterare la percezione della realtà sportiva.
Tra narrazione e verità: mantenere l’autenticità nello sport
Quando la narrazione prende il sopravvento, si rischia di trasformare lo sport da competizione autentica a spettacolo sceneggiato. Questo spinge gli appassionati a chiedersi: lo sport è ancora sport, o è diventato un prodotto costruito per intrattenere?
La manipolazione delle dinamiche sportive per favorire la drammaticità della narrazione mina la credibilità dello sport stesso. Ciò che dovrebbe essere il cuore pulsante della piattaforma—l’autenticità dell’evento—rischia di trasformarsi in un elemento secondario rispetto al desiderio di creare engagement.
Paradossalmente, è proprio il pubblico, con la sua capacità di influenzare le piattaforme attraverso social media e reazioni immediate, a giocare un ruolo cruciale. La pressione di pubblici sempre più esigenti e attenti può portare a decisioni che sacrificano la trasparenza per mantenere alta l’attenzione.
Comunicare oggi non può prescindere da questi processi, pur dovendo trovare il modo di governarli. Dobbiamo cercare di imparare rapidamente questa lezione chiave: restare in equilibrio tra narrazione e autenticità. Mentre lo storytelling è un potente strumento per catturare il pubblico, il rischio di superare il limite è reale.
Il futuro della comunicazione è nelle piattaforme
Lo sport deve rimanere un luogo dove la competizione è genuina, e non un contenuto costruito per rispondere alle esigenze degli algoritmi. Solo così le piattaforme potranno continuare a prosperare senza perdere ciò che le rende uniche: la capacità di raccontare storie vere. Vale per lo sport, vale per il business, vale per i brand, personali o di organizzazioni.
Lo sport ci mostra che il futuro della comunicazione non è lineare, ma integrato. La piattaforma è il nuovo modello: un sistema che unisce tecnologia, narrazione e interazione per creare esperienze sempre più coinvolgenti, ingaggianti, capaci di generare flussi di attenzione e flussi di ricavi.
Come la Formula 1 e l’NBA hanno reinventato il rapporto con i loro fan, così ogni settore può adottare questa visione per costruire un dialogo più ricco, personale e continuo con il proprio pubblico. Il futuro appartiene a chi saprà trasformare i canali tradizionali in piattaforme capaci di connettere, coinvolgere e sorprendere, senza rinunciare, in questo processo, a un brandello di verità.
Un post scriptum per futuri articoli
Le intelligenze artificiali giocano un ruolo cruciale, oggi, nell’indirizzare contenuti verso i pubblici, e nel produrre i contenuti stessi. Torneremo sul tema, raccontando l’impatto non necessariamente positivo delle AI nella produzione di contenuti, sorprendentemente anche sportivi. Giusto una anticipazione, se non l’avete fatto, guardate Moneyball, L’Arte di Vincere, del grande, grandissimo Aaron Sorkin.
Leggi anche:
https://themillennial.it/autore/mik/
https://themillennial.it/autore/mik/