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La separazione tra stati e regioni non è abbastanza. Assecondiamo l’entropia fino alla mutilazione

27 Ottobre 2017
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Ultimamente non si parla che di separazione: indipendenze, secessioni, autonomie. Questi che si vogliono staccare da quelli, e via così. Dico: la scoperta dell’acqua calda. Nessuno sopporta nessuno. Catalani e castigliani, italiani e tedeschi, veneti e napoletani, rovigotti e padovani, vicini del secondo piano e del terzo piano. Serve una soluzione ben più radicale. Eccola qui:

 

Il concetto di separazione, al suo nocciolo, me lo sintetizzò un tizio tanti anni fa: “Io parto dall’idea che tu mi stia sulle palle, sta a te farmi ricredere. Nessuno ci riesce mai”.

Aveva ragione. Il tizio era di Lecce e non sopportava i baresi. Viveva a Venezia e non sopportava i veneziani. Quando i suoi parenti lo andava a trovare sopportava i leccesi meno di tutti. Senza scomodare Schopenhauer – la storia dei ricci che in una notte gelida si avvicinano per riscaldarsi ma si pungono e si riallontanano – è innegabile che ci stiamo tutti, a pelle, sui collioni.

Più uno è nostro vicino-parente-amico, meno lo sopportiamo. A lungo andare il suo odore ci ha nauseato. Quelle sue abitudini, certe manie (da vicino, ogni abitudine si rivela mania). Chi è più ricco è un bastardo, chi è più povero un invidioso. Più a nord: polentone. Più a sud: terrone. Chi è più a destra un fascista, chi è più a sinistra un comunista. Chi è più verso il mare un ciarlatano, chi è più verso la montagna un cavernicolo. L’umanista un velleitario, il tecnico un ottuso. Le donne isteriche e gli uomini porci. A ben pensarci, solo noi – cioè, ognuno di noi, preso singolarmente. Cioè, nel caso specifico: io – è nel posto giusto. Diciamo meglio: è nel giusto.

È tutto un derby. Partendo da quei bifolchi degli australiani, fino ad arrivare ai grigi ticinesi. La nazione vicina, la città vicina, il paese vicino. Soluzione: separazione, separazione, separazione. Ancora e ancora. Assecondiamo l’entropia. Su, siamo devoti. Se Dio l’ha pensata così, dall’ordine al disordine, chi siamo, noi, per opporci? Blasfemi! Diventiamo più piccoli, più soli, più unici, diventiamo di più. Orsù, sbricioliamoci! Facciamo a pezzi la galassia.

Perché fermarci all’indipendenza di un villaggio da un altro? E quel vicino che non ci ha dato uno spicchio d’aglio quando l’acqua per la pasta già ci bolliva? Bastardo! Indipendenza, anche da lui. E tuo marito…sarà mai possibile condividere spazi e cittadinanza con uno che non abbassa la tavoletta del cesso? Indipendenza, separazione!

Ed eccoci lì, da soli. Finalmente, cristosanto. Ognuno col suo inno nazionale fischiettato (plagialo pure: abroga la legge sul plagio), a difendere i confini a gomiti alti. Cambio di guardia col coltello da bistecche sulla spalla. O la pistola, come vuoi: il porto d’armi te lo dai tu. E le tasse? Fuori dal portafoglio, dentro alla tasca. Prova un po’ a evadere, adesso. Un intero guardaroba di livree istituzionali. L’abito da corte suprema, quello da presidente della repubblica, quello da gran sacerdote, da generale di stato maggiore, da primario dei primari. Per strada, sarebbe tutto un decoroso scambio di passaporti artigianali, timbro in tasca. Ci si presenta, sull’attenti, si controllan le carte, e via di timbri. Passi pure, anche lei. Io di qua, e io di là. Macché associazioni, quali famiglie, quali squadre, quali compagnie. Dove ci hanno portato queste utopie collettiviste? Avanti con i trattati bilaterali. Che ognuno risponda di se stesso.

Già…questo se stesso. Chi è, in fondo? Se non ce la raccontasse giusta neanche lui, o lei? Ti guardi allo specchio. Certe occhiaie. Un ciuffo diverso. Sospetto. Sarà mica una spia. Interrogalo, l’infame. Simula bene, il cane, finge di conoscerti, di essere te. E questa mano che ti fa male…chi ha ordinato la fitta? La mano è infiltrata, la mano è mercenaria, la mano è nemica. Via la mano. Prendi il tuo coltello da bistecca che usi per i picchetti. Mano: sei espulsa dal mio stato. Zac! E adesso vediamo come te la cavi, lì fuori. Vediamo se ti riesce di non decomporti, ingrata. Senti che puzza. Ognuno di voi, cari arti, è libero di fare quel che vuole, di comportarsi secondo coscienza. Ma ne accetti le conseguenze. Stesso discorso vale per voi, esimi organi. Separazione!

Un meraviglioso mondo di tronchi umani autocratici, attaccati a polmoni artificiali e macchine per la dialisi, curati da altri-stati individuo previa stipulazione di trattati bilaterali: timbri lei, fai capire al Libero Stato dell’Infermiere Piergiorgio col movimento del tuo unico occhio rimasto, l’occhio fedele, se Lei dovesse timbrare male, le clausole di infrazione unilaterale del trattato non le lascerebbero scampo, Libero Stato dell’Infermiere Piergiorgio. Dovrebbe suicidarsi col mio coltello da bistecca e da picchetti.

 

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