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La profezia autoavverante dei freelance: chi sono i “partita Iva” italiani?

26 Dicembre 2022
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Bisognerebbe piantarla di chiamarli “partite Iva”, questi poveri freelance. La definizione è al limite del discriminatorio, ma siccome è tutta gente che non ama il piagnisteo, nessuno lo dice.

La partita iva è un numero, rendiamocene conto. E abbinare le persone a dei numeri è brutto. Per contro è comprensibile, dato che i codici Ateco sono talmente tanti che ci vuole uno staff di cabalisti per capire la recondita motivazione di tale etichettatura.

I freelance non sono “partite Iva”

In tutti i casi fa schifo, lo sappiamo tutti. Nessuno, presentandosi, alla domanda “che lavoro svolge?” risponde: «Sono una partita Iva». Ma l’aspetto più deteriore è che sono gli stessi professionisti a sottovalutare il problema, il che spiega un’anomalia antropologica e sociale italica, quasi che accettando la definizione si accetti anche di essere relegati al margine del ciclo produttivo di un Paese.

La percezione è che tra le partite Iva non ci sia il grande avvocato, il luminare della medicina, l’architetto geniale o l’editorialista che dà alle stampe 10 libri all’anno. Quelli, nella vulgata, sono i Professionisti con la P maiuscola. Ai quali non pesa pagarsi un delicato intervento nelle migliori cliniche. Gli altri sono percepiti un po’ come un errore di sistema, millennial parcheggiati nella speranza che si avveri la promessa messianica zaloniana del posto fisso con tutele.

Cosa fanno, quindi, questi freelance?

Ancora una volta, quindi, tocca tirare fuori la solita ricerca americana, come quella di Us Census Bureau: nel corso del 2021 i thirty-something americani hanno creato 5,4 milioni di nuove imprese, il livello più alto mai registrato, con un aumento del 68% rispetto alla media dei cinque anni precedenti. Si tratta di piccole imprese spesso fondate da gruppi di freelance e questo dato ne lancia un altro, di scenario: nel giro di quattro o cinque anni metà della forza lavoro americana, qualcosa come 87 milioni di persone sarà composta da freelance.

E una cosa è certa: là nessuno si pensa come una precaria partita Iva. Sono uomini nuovi, come quelli che il sociologo GianPaolo Prandstraller ha descritto nel libro, incredibilmente visionario se si pensa che risale alla fine degli anni Ottanta, L’uomo senza certezze e le sue qualità (Laterza). La loro novità è la consapevolezza del proprio valore e della propria libertà. La netta presa di coscienza che le armi da usare sono conoscenza ed esperienza, da far pesare in una contrattazione leale.

Nuovi dati relativi al mercato dei freelance e pubblicati da Upwork, rinforzano la tendenza: nell’ultimo anno, il 39% della forza lavoro americana ha svolto un lavoro riconducibile alla modalità freelance (un aumento del 3% su base annua) e ha guadagnato una fetta di torta dell’economia statunitense pari a 1,35 trilioni di dollari.

I plurilaureati signori “partita Iva”

Volete una spiegazione da bar? Questi liberi professionisti a tempo pieno sono i lavoratori licenziati per gli alti e bassi dell’economia americana degli ultimi anni.

Volete la spiegazione vera? Sono proprio i lavoratori giovani e più istruiti a mettersi in proprio. Nello specifico: il 43% dei professionisti della Gen Z e il 46% dei professionisti millennial hanno lavorato come freelance nell’ultimo anno; il 26% di tutti i freelance ha un master post-laurea. Dati che associati alla fuga dalle grandi aziende (job quitting) nel post pandemia, la dicono lunga.

Credo però che spiegare tutto questo con la pandemia come si tende a fare, sia fuorviante. I millennial da 10 anni avevano cominciato a fare job hopping, ovvero saltellare da un posto di lavoro all’altro, magari prendendo anche posizioni criticabili dovute all’impazienza, come racconta in modo divertente Simon Sinek.

Altra prevedibile obiezione da bar: negli Stati Uniti c’è un eccesso di liberismo che calpesta i diritti dei lavoratori. Sta di fatto che si registrano le opinioni delle associazioni dei liberi professionisti, e non si può dire che non contino nulla. Rafael Espinal, direttore esecutivo di Freelancers Union, che fornisce sostegno e risorse ai suoi 500.000 membri dice che le affiliazioni all’organizzazione sono aumentate del 300% su base settimanale rispetto al 2020».

Allora, quello dei freelance è un popolo di avventurieri che gioca d’azzardo? No, le associazioni americane propongono corsi per tutte le attività indipendenti, da come scrivere una mail a come smascherare un contratto capestro. E tra le soft skill più di moda ci sono quelle che insegnano a dire no ai clienti che se ne approfittano o anche a quelli con i quali non si crea sintonia ed empatia.

Nel momento in cui le aziende non trovano professionisti da assumere, i freelance diventano la super risorsa. Però là, negli Stati Uniti, dove la cultura del lavoro autonomo e indipendente è a un livello superiore. E da noi?