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Smart working: il lavoro flessibile non vuol dire lavoro in pigiama. E se ne parla dal 1996

31 Luglio 2020
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Agnelli e Terzani parlavano di Smart Working già nel 1996 (e litigavano tra loro). Il lavoro flessibile non può essere lavoro in pigiama.

Lo Smart working non l’abbiamo inventato noi Millennial. E non è stato nemmeno il Covid-19. L’applicazione forzata di questa pratica ha portato le persone a discutere sui pro e i contro e questa diatriba. Che esiste da più di 20 anni.

Indubbiamente saremo noi, in primis, a confrontarci con il futuro del telelavoro. Poco importa se con contratti da 500 euro al mese che non permetteranno neanche l’affitto di un monolocale in cui lavorare. 

In quanto generazione che si ritroverà a vivere questa realtà lavorativa e opportunità. abbiamo il dovere di interrogarci. Certo che non può funzionare per tutte le figure lavorative, pensiamo ai nostri coetanei lavapiatti a Londra.

Quello a cui il Covid-19 ci ha costretto è telelavoro, perché lo Smart Working non può essere imposto e lavorare in maniera intelligente e flessibile è molto diverso da farlo in pigiama. 

Giovanni Alberto Agnelli è un nome della scuderia FIAT che molti Millennial forse non hanno mai sentito prima. Ecco, lui doveva essere l’attuale dirigente della casa automobilistica di Torino.

Figlio di Umberto Agnelli è cresciuto fin da bambino consapevole di dover ereditare l’impero FIAT con tutti gli oneri e le responsabilità del caso. Come in tutte le famiglie di un certo peso, anche lui ha lavorato come apprendista operaio in incognito in fabbrica alla Piaggio.

Muore però inaspettatamente, nel 1997, a 33 anni. Se fosse ancora vivo, molto probabilmente non avremmo mai sentito parlare di Sergio Marchionne e John Elkann o almeno non come li conosciamo. 

Da figlio di papà, quale era, ebbe l’opportunità di studiare negli Stati Uniti ed era un estimatore della nascente realtà della Silicon Valley. Dal 1993, per gavetta, prima di prendere ufficialmente le redini della FIAT viene nominato presidente della Piaggio.

Proprio durante una visita di lavoro in India, un’anno prima della sua morte, ha incontrato a Nuova Delhi il giornalista Tiziano Terzani per discutere di progresso, del futuro del lavoro e delle sue modalità.

Agnelli: «La nuova società dell’informazione permetterà a tutti di lavorare meno e di avere più tempo per i rapporti umani. Con il computer saremo sempre più in grado di lavorare a casa e quindi di stare di più con la famiglia, evitando le ore in macchina e in ufficio».

Terzani: “Il lavoro di cui parliamo è il lavoro dell’intellettuale, il lavoro di un’élite. Chi produce dovrà ben continuare ad andare in fabbrica. Il computer non aiuterà la maggior parte delle persone”.

Agnelli: “Non sarà necessariamente così. Ci saranno sempre più società di sevizi. Prenda un’azienda qualsiasi: già oggi (1996 n.b.) un terzo delle attività sono servizi e questi potranno essere svolti lontani dall’azienda stessa da casa”.

(tratto da Tiziano Terzani, In Asia, 1999, TEADUE, pp.375).

Abbiamo sempre lavorato da casa. Fino all’invenzione della fabbrica…

L’uomo ha sempre lavorato “da casa” per migliaia di anni, poi è arrivata l’industria, con le sue macchine potenti e non trasportabili. Duecento anni di società industriale hanno plasmato la nostra mente e le abitudini sul lavoro.

L’Italia è restia al cambiamento e i dati sul telelavoro erano inferiori alla media Europea già prima dell’arrivo del Covid-19 che, come ogni crisi ci ha consentito un’opportunità di cambiamento. 

In questa lotta di classe, 20 anni fa, il figlio di uno degli industriali più importanti d’Europa si schierava a favore del telelavoro, le stesse fabbriche che per qualche decennio hanno spinto i meridionali a migrare proprio in prossimità del luogo di produzione. 

Tra i rischi del telelavoro c’è l’isolamento, della produttività a scapito della socializzazione e della mancata capacità di disconnettersi dal lavoro, tutti problemi che sta a noi Millennial risolvere, dando un senso alla parola Smart working.Quindi lavorando in maniera intelligente e non semplicemente “lavorando da casa”. 

Certo una possibile soluzione alternativa è quella di ritirarsi a vivere nel bosco e dichiarare guerra alla tecnologia ma questa è un’altra storia.

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