Da volonterosi cantori delle vicende millennial, avevamo già celebrato Franco Battiato e le sue canzoni per il suo compleanno, e questo ci esenta da ogni deriva retorica postuma.
Davvero difficile e raccontare e sintetizzare l’eredità che lascia un genio come Franco Battiato, morto stanotte nella sua casa di Milo in Sicilia dove si era ritirato a vita privata da tempo. Davvero difficile – e le banalità che si stanno sprecando sui social e nelle chat di WhatsApp ne sono una triste conferma – provarci senza cadere nella retorica, senza capirlo, senza dare significato alle sue parole che lui avrebbe senz’altro seppellito con sorriso malcelato e volgendo lo sguardo verso l’assoluto come soltanto lui sapeva fare.
Proviamoci, sperando di non essere accusati di lesa maestà, concentrandoci in particolare sulle sue prime produzioni, e rimandando una volta di più per tutto quanto in materia all’eccellente libro scritto da uno dei suoi maggiori cantori e conoscitori, Aldo Nove.
Quattro canzoni per capire Franco Battiato
L’era del Cinghiale Bianco (1979)
Studenti di Damasco vestiti tutti uguali
l’ombra della mia identità
mentre sedevo al cinema oppure in un bar
ma spero che ritorni presto
l’Era del Cinghiale Bianco
Un messaggio che abbina spiritualità e forza, un richiamo a considerare come una società che si concentri troppo sui valori materiali finisca con il trascurare quelli appunto spirituali, per i quali si deve andare alla ricerca di qualcosa di ancestrale e metafisico, senza mai smettere di chiedersi il perché delle cose ma allo stesso tempo con la serena capacità di accettarle.
Up Patriots To Arms (1980)
Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia
Che crea falsi miti di progresso
Chi vi credete che noi siamo, per i capelli che portiamo?
Noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre
Sano pragmatismo che invita tutti noi a essere meno illusi sul fatto che ci sia sempre qualcuno o qualcosa che dall’alto ci risolva ogni problema e trovi sempre una soluzione. Un’analisi della società che chiude un periodo storico e anticipa con straordinario tempismo quello che verrà, senza dare giudizi di parte, ma ponendosi come sempre il sacrosanto beneficio del dubbio.
Centro di Gravità Permanente (1981)
Cerco un centro di gravità permanente
Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
Over and over again
Una delle sue canzoni più citate che forse comprese, di sicuro una delle più interpretate e analizzate. Il messaggio chiave? Ricordarsi che non dobbiamo mai essere statici, sempre in movimento, perché quello al quale tutto gira intorno non siamo noi e le nostre miserie quotidiane. E non è mai troppo tardi per capirlo.
Campane Tibetane (1983)
Suoni lunghi di campane tibetane a valle
Svegliavano al mattino i falegnami del paese
Temporali estivi con lenzuola appese
Nell’aria qualche cosa si fermò
Un invito a cercare nuovi orizzonti anche nella più semplice quotidianità, nei contrasti soltanto apparenti ma in quanto tali paradossali. Soltanto a un genio poteva venire in mente di abbinare campane tibetane alle lenzuola appese: quanto c’è di più ascetico a quanto c’è di più abitudinario per non dire banale nel gesto di appendere lenzuola?
Foto in copertina: ufficio stampa Universal
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