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Una storia di violenza sugli animali: Rhea, l’elefantessa prostituta

31 Dicembre 2017
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Rhea era bellissima, fin da piccola, lo era diventata ancor di più crescendo. Pelle ambrata, occhi scuri, dolci e vivaci, le curve giuste al posto giusto. Un giorno tutto cambia. Una storia di violenza sugli animali in India. Con lieto fine?

 

Questa può non sembrare una storia di violenza sugli animali. Nella regione di Bangalore, in India, dove abitava, nessuna delle sue compagne era paragonabile a Rhea. Qualcuna era senza dubbio invidiosa, eppure fu per tutti un giorno triste quando se né andò. Per una ragazza bella come Rhea il prezzo da pagare può essere molto alto, specialmente in quelle zone povere.

Gli uomini hanno occhi febbrili, mani rapide, a volta la promessa di un futuro. Di certo l’avevano quelli che portarono via Rhea. L’avevano convinta che ci fosse un posto migliore. Era partita con quegli uomini, le sue amiche l’avevano vista andare via, sembrava fosse felice, elettrizzata all’idea della nuova vita. Poco dopo aver lasciato casa era stata fatta salire su un camion, con altre sconosciute e si era ritrovata a Tiruvannamalai, nello stato federale di Tamil Nadu.

Le dissero che avrebbero fatto di lei “una grande performer”, che avrebbe avuto un palcoscenico tutto suo, che la gente sarebbe venuta da lontano per vedere i suoi spettacoli, che ci sarebbe stata una grande scritta all’entrata, fatta di neon e luci colorate “ Rhea! La stella dell’India ”.

Le insegnarono i movimenti giusti, a muoversi a comando, a ritmi strazianti su musiche caotiche e interminabili. Le assegnarono anche un compagno, un partner fisso. “Per farti ballare meglio”, dicevano.

Quando cominciarono gli show fu subito chiaro di che performance si trattava.

Rhea doveva fare acrobazie nuda: gli spettatori impazzivano, ridevano, le mani uscivano dalla folla per cercare di toccarla. Perché a fine spettacolo era usanza lasciarsi toccare dal pubblico. Sentire quelle finte carezze sulla pelle, ogni girono, faceva orrore a Rhea. A un certo punto, non ha avuto più nemmeno le forze di fingere. I padroni del locale erano sempre più scontenti e non tardarono ad arrivare punizioni e minacce.

Lei cercò di far capire che non ne voleva sapere di quella vita, lo urlava di notte ai suoi carcerieri, perché in fondo, dietro la musica, i neon e i colori vivaci, di questo si trattava: di una prigione. Voleva tornare a casa, dalle sue amiche, da dove era venuta.

I padroni iniziarono a picchiarla, lei si difese come poteva, distruggendosi lentamente, facendo appassire pian piano quella bellezza che l’aveva resa tanto desiderabile. Mangiava sempre meno, si feriva da sola, sanguinava, stava sfiorendo, sciupava. Le sue stupende curve erano ormai svanite, non era più tonica e in forma come una volta, il suo corpo diventava stanco, flaccido. Si stava suicidando.

La salvò uno strano missionario, benefattore e nemico della violenza sugli animali. Quando aveva i soldi partiva alla ricerca dei peggiori luoghi di spettacolo dell’India, per trovare casi come il suo. Parlava perfettamente la lingua dei carcerieri di Rhea, quella del denaro. Niente prediche, minacce, appelli morali: quanto volete per la sua vita? Quarantamila dollari. Il missionario pagò, Rhea era troppo malata per opporre resistenza. Senza capire, seguì lo sconosciuto.

Il viaggio fu complicato perché Rhea non aveva documenti, passaporto, e neppure la forza fisica per viaggiare. Dovettero assisterla di continuo, durante tutti gli spostamenti, in una sorta di barella speciale costruita apposta per lei. Quando arrivano al centro di ricovero, erano convinti che non ce l’avrebbe fatta.

Invece Rhea sorprese tutti. Piano piano, assistita da infermieri, dietologi e psicologi, si riprese.

Ricominciò a mangiare, iniziò ad interagire con l’esterno e con le compagne che incontrò nel centro. Avevano alle spalle storie come la sua: erano state comprate e usate senza nessun riguardo. Si sentì compresa, in un ambiente protetto, poté finalmente guarire da tutto, anche dai problemi di respirazione che non le davano tregua da molto tempo.

Ci volle un anno ma alla fine del percorso era irriconoscibile.

Chiunque l’avesse vista dimenarsi stancamente negli spettacoli non l’avrebbe riconosciuta ora: era tornata a essere la bellissima Rhea.

Le ferite erano chiuse, sulla splendida pelle rimanevano solo alcuni piccoli segni, traccia di un passato che ormai era passato davvero.

Il difficile per lei arriva adesso, Rhea è guarita, è tempo di lasciare la comunità per fare posto ad altre compagne bisognose. Quando leggerete questo pezzo, avrà sicuramente già lasciato il centro, è tornata in piena forma, ha rimesso su un po’ di peso: in un anno di cure ha guadagnato 550 chilogrammi, cinque quintali e mezzo. Troppi per un essere umano ma giusti giusti per un’elefantessa come Rhea, un meraviglioso esemplare di elefante indiano che dopo 50 anni di lavoro nel circo è stata liberata dal gruppo Wildlife SOS. Perché questa, in effetti, è proprio una storia di violenza sugli animali. Ora Rhea è tornata in libertà, insieme alle compagne con cui era cresciuta, meno belle e quindi più fortunate di lei.

 

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