La corretta interpretazione dei tatuaggi può salvare un rapporto, o almeno una caviglia. Dopo l’amplesso, nel sopore post-coitale, la mia gnagna di allora mi ha detto: “Di’ un po’, ti va se ti tatuo qualcosina, tipo la stellina che mi son fatta da sola qui sul polso?”. Dunque quella cosa lì sul suo polso era una stellina, l’ho capito solo in quel momento. Quello scarabocchio non prometteva nulla di buono…
“Sì!”, ho risposto, rievocando tutto quello che sapevo (cioè pochissimo) sull’interpretazione dei tatuaggi. Ago china sudore freddo e dolore, mi sono ritrovato la caviglia sfregiata da un ghirigoro che avrebbe voluto essere (e qui non si faccia troppo caso alla scelta infausta del disegnino) un surfista che cavalca spavaldo l’onda perfetta. Una schifezza che sembrava un surfista. Dopo due docce, scomparvero i tratti caratteristici del surfista e rimase solo la schifezza. Mio padre, appena sentì parlare di tatuagg-, sentenziò Seiunpirla. Bene, ai tempi ancora non ero abile nella distinzione tra piano estetico e piano etico, per cui incassai il Seiunpirla senza batter ciglio. Oggi posso dire che quel Seiunpirla nasceva da un’erronea sovrapposizione dei due piani. Cioè, visto che per mio padre i tatuaggi (tutti) erano una pirlata, i tizi che se li piazzavano sottopelle dovevano essere necessariamente dei pirla. Nel caso particolare però, a parziale discolpa di mio padre, bisogna ammettere che io ero effettivamente un pirla, ma la mia pirlaggine non aveva nulla a che vedere col tatuaggio. Tatuaggio o no, ero un pirla. Così come – e qui finalmente posso esprimere il mio alto concetto – una gnagna è sempre una gnagna, tatuata o non tatuata.
Non ha senso giudicare chi si fa tatuaggi, nel bene o nel male, a meno che non si tratti di giudizi (si badi bene, in senso raffinato eh, quasi kantiano) puramente estetici. Se questo vale per chi giudica, dovrebbe valere ugualmente per chi è giudicato. Cioè, chi mostra un tatuaggio bello brutto inquieto o folle, non può arrogarsi il privilegio di essere una persona bella brutta inquieta o folle. Crede di esserlo, al limite. Un conto è l’interpretazione dei tatuaggi, un conto è come sei fatta davvero. Perché se la tatuata si guardasse per benino dentro e a lungo, dopo un po’ di angosce introspettive troverebbe così tanti casini che non saprebbe davvero più cosa tatuarsi, di fronte all’impossibilità di una rappresentazione anche solo vaga di sé. “Ma sì dai, oggi mi sembra di essere cattivo/a, fammi un teschio che vomita vermi e scarafaggi, Bob!” Insomma, si tira un po’ ad indovinare. E allora, indovina qui, indovina là, ti ritrovi tutto il corpo tatuato, a casaccio, cioè nell’unico modo possibile. Disturbi di personalità in biopelle. Ma riprendiamo l’alto concetto espresso poc’anzi. Tatuata o no, la gnagna è sempre una gnagna. Una gnagna non ha bisogno di essere ancor più gnagna, perché è gnagna lo stesso. Se sceglie il tatuaggio come ornamento, accetta di mostrare in maniera forse più immediata personale evidente interessante o estetica la sua gnagnità, così come accetta sapientemente che tutto ciò che è oggi non sarà domani, e che i fiori di oggi saranno i fiori di ieri, e che il tatuaggio di un leone sarà uno Shar Pei. Ma a me, quando vedo la gnagna di oggi, del futuro non interessa un granché, e non posso che vagheggiare la sua gnagnità resa ancor più gnagna da un tatuaggio gnagnevole.
Una gnagna potrebbere controbattere “Eh no, io mica mi tatuo per apparire! Ne ho uno qui nascosto sotto le mutande, tutto per me!”
“Posso vederlo? Così, solo per giudicarlo kantianamente”. Squallido.
Per concludere, se tatuarsi significa portare (in maniera più o meno illusoria, più o meno azzeccata) qualcosa di profondo in sé e con sé per tutta la vita, o se è semplicemente un espediente per render visibile qualcosa che potrebbe starsene bellamente e profondamente in sé o con sé nella memoria (soprattutto se si tratta di frasi o pensieri del casso, ma questo esula dalla bontà e benevolenza di questo articolo del quale non si deve perdere una sola sillaba dell’alto concetto espresso, rimanendo sostanzialmente un elogio della gnagnità), non si capisce bene bene. E non c’è nemmeno bisogno di capirlo, perché ci sono cose più belle della comprensione. “E adesso, visto che sono buono, tatuami un Winnie the Pooh sulla spalla, Bob!” Winnie che dolce, Winnie che caro, Winnie top. “Così domani, Bob, mi tatui una fiamma dell’Inferno e gli diamo fuoco, lo carbonizziamo, quell’orsetto bastardo!”
Se l’interpretazione dei tatuaggi non ha risolto i tuoi dubbi esistenziali LEGGI ANCHE: Come vincere l’insicurezza? Diventa un mostro di arroganza in 6 step