Coez rappa: Ho scritto ti amo sulla sabbia. Perché non piallarlo con una fresatrice?
Coez l’ho scoperto nel maggio del 2016. Milano rovente, pantaloncini del calcetto di mio fratello, aria condizionata a palla, ultimi esami; “Non ce la faccio più, voglio andare al mare!” “Dai, vieni a studiare da me, ho l’aria accesa dalle 9, sono 17gradi”. Utopia celeste chiusa fra vetri incandescenti. Entro nella 404, mi aspetta un tavolino vicino alla scrivania, un caffè, succo ACE, Mondrian, Matteo… e il Coez. Con le sue perle da baci perugina colorate con lo slang del sottobosco metropolitano.
IL COEZ. Ah- ci capirò niente di teosofia se ascoltiamo trap, se guardiamo live rap?
È così che fra un “ricordati di me, siamo morti insieme, io ho qualcosa di te, tu hai qualcosa di me che m’appartiene” e un “bella che non ti va di ballare, ma bella che se balli le altre ti guardano male” conosco Silvano Albanese, Coez per l’appunto, di cui salto tutto il retroscena romano, gli anni del collettivo Brokenspeakers, per focalizzarmi sul fenomeno Faccio un casino, quarto album da solista che ne suggella il successo a tutti livelli.
Questo Coez, che è molto pop, che è dolcissimo in Yo mamma e crudo e carne ed ossa in Ciao, piace a tutti: il ragazzo che mangia rap, che gira fra Salmo, DPG e Fabri Fibra, alla quattordicenne con i capelli tinti, le prime storie e un gusto musicale troppo acerbo, al trentenne hipsterello, onnivoro musicale per eccellenza, che cura la barba la mattina con la playlist “Indie Italia”(un ammasso indistinto di tracce buttate a caso, di stili distanti, di poesie che vengono da classi parallele, diffidatene!), alla blogger dentro all’aeroporto che non può fare a meno di postare Faccio un casino + citazione di default: “E scusa se non parlo abbastanza, ma ho una scuola di danza nello stomaco”.
Perché piace tanto Coez?
È romantico e pop, è orecchiabile, è facile; con te -anche a te-mai-mai-vai, è corale, lo canto con una birra in mano, a tratti hip hop, a tratti rap, i video sono low- budget, sono 10 anni che è in pista e si vede, lavora con Contessa ( I cani) e Gemitaiz, mescola stucchevolezze da diabete con parolacce da bullo di periferia.
Ci piace Coez? Sì, no, forse.
Sì la spinta rap del passato che sfuma sull’hip hop, sì il concreto, la carne tagliata, sì la storia intima che con grande facilità diventa la mia, la tua.
No la rima scontata, no la rima senza senso (da ragazzino ero bravo con i lego, e cazzo è chiaro che adesso mi lego- ma anche no!).
Forse queste donne che lasciano pezzi di sé, profumi, che abbandonano, che sono Muse nell’assenza.
LEGGI ANCHE: Alfonso di Levante e la grande verità del suo ritornello: che vita di merda