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“Una squadra”, ovvero The Last Dance all’italiana

12 Giugno 2022
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Ogni sport e ogni nazione hanno i loro cicli irripetibili. La docuserie Una Squadra, disponibile su Sky, racconta fatti e misfatti dell’unico team italiano in grado di vincere la Coppa Davis di Tennis

“Una squadra” è il titolo del libro e della serie tv che ripercorre le gesta della nazionale italiana di tennis, capace nel 1976 – unica volta nella storia – di vincere la Coppa Davis, all’epoca un prestigiosissimo campionato del mondo di categoria e di arrivare nelle successive quattro edizioni tre volte in finale.

La serie tv è composta da sei puntate ed è diretta da Domenico Procacci, fondatore della Fandango, casa di produzione e distribuzione cinematografica,  casa editrice e discografica, e che per la prima volta si cimenta in cabina di regia.

I quattro moschettieri più uno

I protagonisti assoluti di “Una squadra” sono i tennisti Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti, Tonino Zugarelli e Nicola Pietrangeli, quest’ultimo il cosiddetto capitano non giocatore. Le puntate migliori sono la prima e la sesta, quasi tutte dedicate al prima, al durante e al dopo della finale del 1976 che si disputò a Santiago del Cile, all’epoca sottoposto alla dittatura di Pinochet.

Il Cile era giunto in finale in quanto in semifinale l’Unione Sovietica si era rifiutata di affrontarlo, analogo comportamento tenuto nel 1973 per le qualificazioni alla Coppa del Mondo di Calcio del 1974. Negli anni settanta si era in piena guerra fredda, lo sport era uno strumento troppo importante per non piegarlo ad interessi politici: un pedaggio pagato anche dai Giochi Olimpici, boicottati nel 1976 dai paesi africani, nel 1980 dal blocco occidentale, nel 1984 da quello comunista.

Il Partito Comunista Italiano fece di tutto per impedire che l’Italia andasse in Cile, alla fine il buon senso prevalse e Pietrangeli e i suoi giocatori poterono andare in Sudamerica e vincere l’unica Coppa Davis italiana in tutta la storia della manifestazione.

Le peculiarità di Una Squadra

Questa docuserie alterna filmati d’epoca – in bianco e nero e anche a colori – alle interviste realizzate appositamente. Un montaggio efficacissimo fa in modo che alle affermazioni di un giocatore faccia subito da controcanto la replica o la faccia stranita di un altro, con tutti i protagonisti che dimostrano una memoria di ferro nel ricordare ogni particolare e assolutamente determinati nel far valere le proprie ragioni a più di quarant’anni di distanza.

Mattatori assoluti Panatta e Bertolucci, quest’ultimo potrebbe senza problemi reggere la scena da solo come stand up comedian. Gli aneddoti scorrono velocissimi, su tutti il racconto di quando Panatta si azzuffò con uno spettatore in Spagna, con un signore azzimato poi sceso negli spogliatoi a esprimere  rincrescimento e dissenso per l’accaduto, subito congedato da Zugarelli in maniera non proprio british (“ma questo chi c*** è?”) ed invitato ad andarsene subito onde evitare a sua volta guai peggiori. Era il console italiano.

Come The Last Dance?

Lo schema applicato da “Una Squadra” è quello di The Last Dance, la serie tv Netflix che racconta i Chicago Bulls e le loro ultime stagioni con Michael Jordan: materiale d’archivio mixato con dichiarazioni attuali; entrambe le docuserie sanno andare molto in profondità, sanno rivelare quali lati oscuri, quali angosce, quali problemi e quale prezzo si debba pagare per arrivare al successo nello sport professionistico e soprattutto come mantenerlo.

Per primeggiare nello sport si deve essere autenticamente ossessionati dalla vittoria, altrimenti si balla per molto poco. Ovviamente gli interpreti delle due docuserie sono differenti. Jordan è diventato uno dei due/tre più grandi sportivi della storia, un primato che gli statunitensi amano sia condiviso con Cassius Clay e Babe Ruth. Impossibile competere contro di lui anche in una docuserie.

 

Anche perché – per sua scelta – Panatta ha primeggiato ai massimi livelli un unico solo anno, il 1976, quando vinse gli Internazionali di Italia, il Roland Garros e appunto la Coppa Davis: un anno che l’ha consegnato alla storia, irripetibile proprio perché il tennista italiano era tutto fuorché ossessionato dalla vittoria e per nulla disposto e interessato a sacrificarsi più di tanto per arrivarci. Nonostante ciò, deve ancora nascere il giocatore italiano che faccia in minima parte quello che ha saputo fare Panatta, forse il più grande tennista italiano di sempre? Nicola Pietrangeli (“ho vinto più io degli altri quattro messi insieme”) è di ben altra opinione. 

 

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