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Gli USA festeggiano il 4 luglio con un’auto battezzata “Trump 2020”

4 Luglio 2020
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“Tutti gli scandali aiutano la pubblicità, perché non c’è migliore pubblicità della cattiva pubblicità”. Ad Andy Wharol, che questa frase l’avrà quasi sicuramente pensata in uno dei suoi giorni migliori alla Factory, sarebbe sicuramente piaciuta l’ultima trovata della formula Nascar. Si chiama “Trump 2020” e la scritta capeggia fiera sulla livrea della Ford Mustang di Corie LaJoie, non un campione assoluto dell’automobilismo, ma conosciuto abbastanza per dare il suo contributo elettorale alla causa del Tycoon.

 

Nel giorno dell’Indipendence Day americano si disputa una delle corse più amate negli Stati Uniti, milioni di spettatori davanti alla televisione e qualcuno sulle tribune di Indianapolis mantenendo il distanziamento sociale.

Necessario, quest’ultimo, soprattutto nell’America di questi tempi, per contrastare la seconda ondata di Covid-19, quando inizialmente, ma eravamo solo in aprile, si pensava al sold out (in presenza e stretti in tribuna) per festeggiare l’uscita dal tunnel della pandemia.

Anche gli organizzatori, visti gli ultimi dati relativi a morti e contagi, hanno dovuto arrendersi e ripensare la formula di fruizione dello spettacolo. Restano comunque i media, le televisioni, il web, i social a far funzionare gli ingranaggi della mastodontica macchina pubblicitaria americana. E la notizia che ha fatto più scalpore è proprio questa qui.

 

Corie LaJoie, che in classifica è solo 27esimo, ha pensato bene di mettere sulla sua autovettura la scritta in favore del Presidente, tanto che persino l’automobile stessa è stata ribattezzata col nome di Trump. E’ un messaggio agli elettori forte e chiaro, nel giorno più ‘made in Usa’ che esista, sulle indicazioni di voto del prossimo mese di novembre. E’ un po’ come se in Formula Uno, per intendersi alla ‘Europea’, sulla Ferrari venisse scritto, nero su sfondo rosso: ‘Vota Salvini’.

Sarebbe clamoroso e non del tutto corretto, perché la sostanziale differenza è che Trump, almeno, tra le varie attività collaterali alla presidenza è proprietario pure della Ford Mustang che porta il suo nome, mentre Salvini, ma il discorso varrebbe per qualsiasi politico, no. Il paragone reggerebbe con Berlusconi, lui sì che nella sua carriera politica non ha mai nascosto la necessità di possedere una squadra di calcio, o qualsiasi altra squadra sportiva, per fare campagna elettorale. E tutto questo funziona, eccome se funziona.

 

Perché se tu sei inebetito davanti al televisore, guardando un’autovettura che sfreccia avanti e indietro all’interno di un circuito, alla fine delle trasmissioni ti sarai visto minimo una settantina di volte il passaggio di Trump.

Dico minimo, perché su 200 giri, almeno un terzo delle inquadrature finirà pur sulla macchina di Corie LaJoie, o no? A parte la statistica, la questione è che il futuro ci riserva sempre di più una sorta di non-sport, dove la parte sportiva è messa da parte per tutto il resto.

Gli eroi di Ron Howard, regista di Rush uno dei più bei film di sempre sulle auto da corsa, sembrano cartoline ingiallite dal tempo, pensando che quei piloti rischiavano sì la vita sul Nurburgring e su qualsiasi altro circuito del pianeta, ma erano meno politicizzati di oggi, anzi forse non lo erano per nulla.

La pubblicità era quella delle sigarette e dei rasoi da barba, il grande circo dell’automobilismo era fatto per il vero maschio alfa che ‘deve chiedere mai’ e non per un ominide pensante che deve pure andare alle urne.

Birra, salsicce e patatine, se questo Trump non rientra in una di queste categorie, allora il suo nome occupa soltanto un inutile spazio. Almeno, ci pare possa essere questo il pensiero del tifoso medio, di un nordamericano, nel Sud Dakota, che il 4 luglio durante una grigliata con amici e parenti, accenderà il televisore o guarderà lo smartphone  per godersi lo spettacolo di Indianapolis. Ma se a novembre Trump vincerà le elezioni, c’è da scommetterci, che Vota Salvini o chiunque altro al posto suo, arriverà presto alle nostre latitudini e longitudini. Perché si sa, quando l’originale è buono, le imitazioni non si fanno attendere.