Millennial di tutto il mondo: unitevi. Avete trovato un padre. Avete trovato una figura che è il bastone e la carota, la voce severa di cui avete bisogno, la mano che vi schiaffeggia per farvi riprendere dalla sbornia di narcisismo da cui siete stravolti. Si chiama Bret Easton Ellis e il suo manuale di istruzioni alla vita, Bianco (Einaudi), è appena uscito in libreria.
Sì, un libro, uno di quegli oggetti rettangolari pieni di parole che vi impedisce di concentrarvi sulle vostre Stories e che vi prende per il culo dall’inizio alla fine. Se vi volete un po’ di bene, oggi uscite di casa e procuratevene una copia.
Bianco esce in Italia dopo mesi di sbandieramento mediatico, cui è seguito un impietoso silenzio culturale. Nessuno in pratica ne ha parlato se non per stroncarlo, per definirlo ripetitivo o scontato. Come se si trattasse di un romanzo, quando invece è un saggio. Un silenzio che mi ha subito insospettito e mi ha fatto venire voglia di leggerlo.
Appena l’ho scartato dalla confezione di Amazon ho notato in quarta di copertina una citazione da Rivista Studio. Curioso… Proprio il target socio-culturale che il libro prende di mira viene chiamato in causa per definire il valore dell’opera. Sembra un’operazione di mercato, una sorta di tentativo di imbavagliamento. Ellis, leggendo Rivista Studio, sarebbe di sicuro incazzato nero e punterebbe il dito contro il piagnisteo millennial che quel giornale pratica di numero in numero. Ma andiamo oltre.
L’accoglienza fredda del volume è facilmente comprensibile. Bianco spara a zero sulla cultura del pensiero unico a cui ormai siamo tutti assoggettati. Sui nostri status politicizzati per darci un tono, sulle accuse di fascismo a chi la pensa diversamente da noi, sulla ghettizzazione dell’opinione altrui a cui gli intellettuali ci hanno abituato quando sono in disaccordo con un’idea che non li aggrada. Bianco è un libro che semplicemente analizza dei comportamenti sociali promossi da Facebook e diventati ormai la prassi anche nelle relazioni umane e culturali. Oggi è tutto giusto o sbagliato, bianco o nero, netto. Non c’è spazio per un vero dialogo perché tutti hanno ragione (come titolava Sorrentino in quel suo fantastico romanzo).
Una generazione schiava delle opinioni degli altri
Ecco perché non ne stanno parlando tutti. Perché Bret Easton Ellis costringe il lettore a fare autocritica e a mettersi in una posizione diversa da quella in cui si sveglia ogni giorno: quella del maschio bianco dominante, appunto. Eccoli i Millennial: iper colti, dipendenti dallo smartphone e malati di consenso. Tutti in piazza per i selfie e nessuno che lotta per i diritti, gli stipendi, il lavoro. Tutti impregnati di ideologia ma carenti di idee. Tutti uguali gli uni agli altri per la paura di osare qualcosa.
Fanculo. Il libro dice il vero. Non ho mai mitizzato Ellis, ho cominciato a leggerlo come romanziere solo dopo aver letto Bianco, la sua prima cosa che ho avuto in mano. Non sono un suo fan, non mi frega niente di quanto è figo. Questo libro sarebbe importante anche se lo avesse scritto la mia prof di Italiano del Liceo. Anzi, sarebbe stato stupendo se lo avesse scritto lei o qualche intellettuale italiano che invece di tratta sempre e solo di Salvini.
Da quando siamo diventati così impauriti dalle opinioni altrui? Da quando non possiamo stare nella stessa stanza con uno che si definisce leghista o trumpiano? Da quando un’opinione diversa è sbagliata mentre la nostra è giusta? Il libro parla di questo, mette in discussione il feed degli status sui social e le cazzate che ci vengono propinate ogni giorno da un sistema culturale basato sui valori di un sicuro consenso. Gli intellettuali veri hanno sempre dato calci nelle palle e colpi scomodi all’opinione pubblica e sono sempre stati rigettati. Più un’opera fa incazzare o viene stroncata e più potete stare tranquilli che è roba buona. Come nel caso di questo libro.
Andate e compratelo tutti, questo è il vostro pane indigesto. Solo i più lucidi ne usciranno arricchiti. Gli altri potranno stroncarlo sui social.
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