Conversazione di due ore con Chiara Estini, tra lavoro, vita, libri, icone generazionali, aspettative, incoerenze e limiti della nostra generazione.
Vi presento Chiara Estini, ha 27 anni ed è quindi della generazione a cavallo tra i Millennial e la GenZ.
È Junior Brand Manager di innocent Italia. Dai, quell’azienda che produce smoothies 100% frutta naturali e sostenibili che incontrano le esigenze della Generazione Z, quelli che d’inverno infilano dei cappellini fatti a maglia sulle loro bottigliette con lo slogan “tanto di cappellino” e donano 20 centesimi ad Auser Lombardia per ogni smoothies venduto con il copricapo. Ecco sì, proprio loro, quelli che fanno degli irresistibili post Instagram e ci ricordano di mangiare sempre i broccoli.
Una tranquilla ragazza di provincia
Chiara ha una voce tranquilla nonostante sia la sua prima intervista. Ha i capelli lunghi e scuri, gli occhi sono marroni e accesi. Ha un bel sorriso, uno di quelli spontanei che ti escono quando davanti ti trovi un bel calice di rosso. Il suo profilo Instagram è semplice, foto di viaggi, tramonti, cene e aperitivi con le amiche.
Mi racconta che viene dalla provincia, da Anagni (Frosinone), e che la voglia di “affermarsi e scappare” probabilmente arriva lì. Mi viene in mente Freccia, quando nel suo famoso discorso dice “Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx”. Ecco, forse Chiara, come tutta la sua generazione cresciuta in provincia, ha sentito il bisogno di fuggire per poi fare pace con se stessa.
Si arriva al marketing per vocazione o per caso?
Ho una formazione classica, durante l’università, però, mi sono imbattuta in alcuni esami di sociologia della comunicazione. E da lì il passaggio attraverso un master di marketing credo sia stato il giusto percorso di completamento.
Però il vero contatto con il mestiere l’ho avuto durante il mio primo stage in un’agenzia media, e poi in Perfetti Van Melle dove ho toccato con mano il mondo digitale.
Ora sono Junior Brand Manager di innocent Italia, ma negli ultimi anni ho fatto tante cose diverse, non ho avuto un percorso lineare.
Che cosa ami del tuo lavoro?
Ho questo grande amore per le parole e mi affascina il potere che hanno anche in un ambito che potrebbe sembrare rigido, come quello aziendale. Mi entusiasma vedere come qualcosa di così astratto come le parole possa veicolare i valori di un brand, delle campagne e dei progetti.
Pensi che la nostra generazione abbia dei percorsi di lavoro e studio lineari?
Non averli è una nostra tipica caratteristica. Forse è una ribellione al famoso “posto fisso” che le generazioni precedenti ci hanno inculcato. Di certo mi riconosco in quei coetanei che hanno voglia di cimentarsi in tante cose diverse. Siamo curiosi. Sentiamo la necessità di fare più esperienze possibili perché siamo cresciuti sotto la pressione di tanti input diversi.
Però è anche vero che ci chiedono di essere sempre sul pezzo. Tu la senti questa pressione? Senti le aspettative su di noi?
Oh, sì, e la considero una contraddizione perché non abbiamo certezze “generazionali”. A volte vorrei capire: ci chiedono tanto, hanno aspettative, ma qual è lo scopo finale? Ha senso inseguire lo scopo di essere i più bravi in tutto, dalle lingue al web? Temo che siamo un po’ alla deriva, ma le generazioni precedenti alla nostra ci vedono come dei fannulloni. A 27 anni qualche decennio fa potevi aver già messo su famiglia, potevi avere una casa. Oggi questo è molto più difficile e spesso il non sentirsi all’altezza delle aspettative gioca un ruolo fondamentale nelle nostre decisioni.
Parliamo di fallimento: io a volte lo vedo solo come una cosa negativa. Single, 30 anni e nessun compagno. Come se il fallimento nella vita priva fosse una diretta conseguenza di quello lavorativo. Cosa ne pensi?
È sbagliato dare un’accezione negativa alla parola fallimento. Capisco bene la sensazione del sentirsi da sole, senza qualcuno, l’impressione di aver fallito da quel punto di vista. Il lavoro sicuramente ti mette a dura prova. L’inizio, per me, in una realtà come innocent è stato duro: non mi sentivo sul pezzo e continuavo a fare domande. Questo per me è stato un po’ un fallimento, una falla da riparare.
Ti sei sentita capita in innocent?
Sì, assolutamente. Dal primo momento mi hanno spronato a fare domande, a mettere sempre sul tavolo tutto quello che non andava e mi hanno insegnato che sbagliare va bene, non succede niente. È importante avere capi che ti spronino a dare il meglio e che dall’altra parte accettino i tuoi errori. Poi, da sola, ho compreso che l’ansia per le scadenze è naturale, ma se l’ambiente di lavoro è positivo, tutto pesa meno. innocent ti dà una tranquillità che in qualche modo ti evita anche di sbagliare.
Hai più punti di riferimento tra i tuoi coetanei o tra le persone delle generazioni precedenti?
Non mi sento di demonizzare nessuno sulla base dell’età o dell’appartenenza a una generazione. I miei punti di riferimento sono i miei genitori, che mi hanno influenzata educandomi nel modo che non ti aspetti: da mamma ho mutuato la parte tecnica, concreta, forte e puntuale che di solito è tipicamente maschile. Da mio padre la creatività, l’astrattezza e l’ironia.
Pensi che la musica trasmetta contenuti a chi ha la tua età?
Recentemente sono stata al concerto di Salmo e a un certo punto in una sua canzone dice: “Questa generazione non crede ai politici o ai Santi, credono soltanto ai cantanti”. E è vero, abbiamo molto più riferimento musicali ormai che di altro tipo.
Qual è il segreto di un approccio vincente sui social? E secondo te innocent l’ha azzeccato in pieno?
I social ti portano nel mondo dell’immediato, del qui e adesso, senza farti pensare al futuro. Io li utilizzo per lavoro, apro Instagram e Tik Tok come tanti. Mi faccio influenzare. C’è comunque anche un lato corretto dei social: anche grazie a loro l’informazione oggi è molto più liquida e veloce. L’approccio che abbiamo sui social con innocent secondo me è molto sano, non è per niente “toxic”, nel senso che non punta a creare dipendenza con l’uscita dei post. Se il giorno stabilito non esce il post non succede nulla, cerchiamo di essere leggeri e mai frenetici.
Voi Zillennial siete molto più curiosi rispetto a noi Millennial. Avete più “cazzimma”, come si dice a Napoli. Ma soprattutto siete più intransigenti nelle scelte ambientali, non trovi?
Sì, forse noi stiamo crescendo anche professionalmente con l’idea che il lavoro non è tutto. È per questo che tendiamo anche a riappropriarci del tempo libero.
Da un punto di vista ambientale siamo più attenti alla sostenibilità, cerchiamo di sprecare meno e ci poniamo molte più domande rispetto alla generazione precedente.
innocent Italia è una B-corp che comunica sostenibilità senza eccessi. Sembra una buona strategia per evitare la pratica del Greenwashing, ovvero la sostenibilità solo in superficie. C’è un pensiero dietro?
Io credo che l’idea sia quella di comunicare il nostro prodotto perché è lui a parlare: è naturale, fatto con frutta e verdura e il nostro packaging è sostenibile. Le bottiglie sono fatte dal 50% di plastica riciclata e il 15% di plastica vegetale, l’obiettivo è quello di azzerare le emissioni entro il 2030. Cerchiamo di comunicare questo atteggiamento senza strumentalizzazioni. Non vogliamo usare un tono di voce stucchevole o metterci in cattedra. Il tema è complesso e c’è ancora tanto lavoro da fare.
Definiresti lo storytelling di Innocent sincero?
La nostra mission è fare bevande buone, naturali che possano fare bene sia alle persone che alla comunità e al pianeta. Il messaggio è passato ed è relatable per chi ci segue, per questo motivo ci chiamano in tanti: molti si riconoscono nei nostri valori e sono invogliati a interagire con noi.
Che caratteristiche deve avere una persona per lavorare con voi?
Sicuramente deve essere una persona competente e con un buon background. Ma non c’è bisogno di formalismi inutili, sia sul piano lavorativo che su quello personale: secondo me innocent è brava a reclutare persone molto diverse tra loro unite da un’etica comune, persone solari e dinamiche accomunate da valori affini.
Come ti vedi tra 10 anni?
Il Covid mi ha lasciato questo senso di incertezza del futuro. Mi piacerebbe lavorare nel marketing su progetti interessanti e vorrei mantenere sempre la stessa sensazione di “non è il compitino e basta”. Mi vedo in un ruolo creativo e interessante. Vorrei diventare una buona leader, un punto di riferimento per chi lavora con me. Ah ecco, sicuramente spero di essere uscita dal monolocale in cui vivo.
Grazie Chiara per questa bella chiacchierata e per esserti aperta con me così onestamente e senza paure. Forse è vero che noi millennial trentenni possiamo imparare qualcosa da voi ibridi di generazioni.
Se dovessi pensare a una canzone che descrive questo incontro tra generazioni sarebbe: “Siamo donne” di Jo Squillo e Sabrina Salerno. No, ovviamente scherzavo. Sarebbe più qualcosa alla Aglio e Olio” di Fulminacci e Willie Peyote:
“Vogliamo tutti risparmiare tempo
E poi con questo tempo in più cosa si fa? Bah
Noi lo sprechiamo e ci sentiamo falliti
Eppure questa volta qua ci siamo capiti”
La Miranda e Chiara vi salutano.
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