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Jovanotti e il suo documentario Rai Non voglio cambiare pianeta. Peccato

8 Maggio 2020
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Rispetto e ammirazione e ossequio per tutti i cantanti, tutti i complessi e i programmi e le musiche di successo in serie. Senza una minima disapprovazione, o mancanza di riguardo o consenso. Mai un non mi piace, mai un questo no.

Alberto Arbasino, Paesaggi italiani con zombie, Adelphi

Percularlo per ore, fargli le pernacchie quando passa, giocare con lui a carte o a nascondino e barare per farlo perdere e umiliarlo. Questo mi ispira la visione di Jovanotti in bicicletta in Cile o dove cazzo è. Attualmente su Raiplay si può assistere al suo viaggio in Sudamerica. Fermo Lorenzo non può stare e nemmeno il suo conto corrente, quindi la Rai ha ben pensato di fargli fare un viaggio epico. Un uomo da solo in bici in Cile. Si chiama Non voglio cambiare pianeta e lo pagano con i nostri soldi. Ma va bene, c’è sicuramente di peggio.

La trama di Non voglio cambiare Pianeta

Ma cosa è sto programma? Una roba tipo flusso di coscienza del tuo maestro di tarocchi e yoga preso strabene che svalvola per ore e ore mentre pedala. In salita sulla Panamericana parla di Terzani, di Pantani, urla “buongiooooornoooo”, “buenos diaaaaaas”. Parla tutto il tempo e devo stare attento perché mi tira fuori il bullismo e non voglio mettere in giro un brutto karma.

Non voglio essere gratuito. Non voglio parlare male di Jovanotti. Non sono Scanzi. Voglio solo fare una riflessione. Come essere umano gli voglio pure bene a Lorenzo, ma penso sia lecito analizzarlo. Mi spinge a chiedermi: ma come mai mi fa salire la bestia, questo qui? Perché è brutto provare certe cose. Ripeto non scrivo su The Vision e quindi non sono uno che se la tira e parla male a priori, ma Cristo, con tutta l’autoanalisi del mondo: Jovanotti mi fa bestemmiare in aramaico.

Dopo tutto, chi è Jovanotti?

Jovanotti è una figura centrale del mondo culturale italiano. Provo costantemente a fidarmi dei consigli di magazine, amici, intellettuali che lo incensano come “il numero uno, un genio”. Quindi boh, metto su un pezzo o un suo video… Ma poi non ce la faccio mai, non riesco a prenderlo sul serio, a vederlo come qualcosa di genuino. Per me Jovanotti è come Renzi, qualcuno che recita una parte. Mi rendo conto che lui stesso crede alla versione di sé che vuole proporre al mondo. Questo mi irrita di lui, che si vede che ci crede.

Altrimenti lo rispetterei. Tutta l’arte può essere una grande truffa messa in piedi per permettere agli artisti e chi gli stanno dietro di fare soldi, godersi la vita e fottersene di quei disgraziati incasinati che li elevano a idoli. È giusto così. Ma Jovanotti non è un artista, è un progetto di marketing perfetto, una roba completamente creata a tavolino. 

I versi di Jovanotti sono come frasi dei biscotti della fortuna

Lorenzo Cherubini è il figlio di un mercato che lo tiene in piedi e lo usa come distillato spirituale per persone che hanno bisogno di sentirsi dire esattamente quella cosa che lui gli canta. Lorenzo è come le frasi nei biscotti della fortuna: talmente generiche e ovvie che sono perfette per tutti. Per scrivere queste poche righe mi sto ascoltando la sua musica in modalità anonima su Spotify perché non voglio che i miei contatti sappiano che lo ascolto. Mi vergognerei. Jova mi fa vergognare.

Il deserto culturale nell’arte italiana è talmente in secca che Jova ha investito il mercato. Ci sono lui, Saviano… e basta. Parlo di idoli culturali pop. Roba che conosce anche mi’ madre.

Quindi è un artista o lo strumento dell’industria dell’intrattenimento che lo svuota come una carcassa per continuare a vendere aria fritta a tutti i mangiatori di tofu e acquirenti di incensi (come me, oltretutto)?

Se Jovanotti proponesse mutande con la sua faccia venderebbe uguale

Non voglio parlare in questa sede della sua musica perché credo sia ridicolo anche il discorso di affrontare quello che fa come un prodotto intenzionale. Forse glielo fanno credere, gli dicono: siii, il disco è una bombaaaa. Ma la verità è che se vendesse mutande con la sua faccia venderebbe uguale. Ormai è un brand. La musica è lo strumento che usa per vendere il prodotto vero: lui. Il guru. L’uomo gentile che ti comprende. Il colto che tutte vorrebbero come suocero, cognato, marito, amante, fratello, babbo.

Vegetariano spirituale colorato vestito bene bellino con la barbina la musichina i quadri la figaggine la magrezza le collanine i vestiti stilosi il presobenismo perenne il tono da guru motivazionale il buonismo l’ambientalismo Greta Terzani Mandela Obama new age l’aspetto da tizio adatto a posare per riviste di moda. È un’accozzaglia di tutti i luoghi comuni dell’universo culturale di sinistra. Lo hanno eletto a guru. Sposa la gente ai suoi concerti. Sposa. La gente. Ai suoi concerti.

Lo hanno fatto posare per Nan Golding in quella che è stata la prima cover di una magazine nella vita di quella grande artista. Sorpresa? La foto fa cagare. È vuota, non c’è niente. C’è chi ipotizza che l’abbia scattata un assistente. Io sostengo che la colpa sia del soggetto.

Secondo me anche Lorenzo è vittima di questo meccanismo. Nessuno lo critica mai, nessuno gli dice: sto disco fa cagare. Crozza ormai è considerato innocuo, ma la sua caricatura di Lorenzo è spietata. Il migliore come al solito fu Checco Zalone, che lo prese in giro sul palco, cantando una parodia jovanottiana che trovate su YouTube. Lorenzo ride ma è incredulo, come se qualcosa dentro di lui scattasse, come se per un attimo realizzasse: allora è anche così che la pensa la gente? Sì Lorenzo, alcuni la pensano così.

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