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Dare nomi alle cose: sintomo d’intelligenza. Da Excalibur alle barche…

20 Novembre 2017
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Vi capita di dare nomi alle cose? Siete socialmente intelligenti, lo dice la scienza.

Credono che siate matti perché avete l’abitudine di dare nomi alle cose. Vi prendono in giro, magari alle spalle (che magari voi chiamate Luisa e Debora). È il momento della vostra rivincita. Non solo è una cosa normalissima – vi dice niente la spada di re Artù, Excalibur? – ma è anche segno di una mente attiva e attenta alla società.

I soldati davano i nomi alle loro armi e i marinai ai loro vascelli. Spade e navi erano i loro compagni più stretti e fedeli, quelli a cui si affidavano per sopravvivere e il fatto di poterli chiamare con un nome li faceva sentire più tranquilli. Rendendoli umani si convincevano che potessero prendersi cura di loro.

Nicholas Epley, un professore di scienza del comportamento all’Università di Chicago, autore della ricerca Mindwise: How We Understand What Others Think, Believe, Feel, and Want spiega come quella di dare nomi alle cose sia una tendenza umana naturale (e solo umana: nessun altro animale vuole rendere simile a sé un’altra specie), essenziale per la sopravvivenza e l’intelligenza umana.

Oggi diamo un nome alle nostre automobili, alle bici e alle barche, agli strumenti musicali o ad altri oggetti con i quali instauriamo relazioni speciali, tanto da considerarli estensioni di noi.

Ma perché lo facciamo? Perché antropomorfizziamo un oggetto? Sono tre le ragioni: l’oggetto in questione ha delle “sembianze” umane; vorremmo essere amici dell’oggetto; non riusciamo a spiegare il suo comportamento imprevedibile.

Partiamo dall’ultima. L’imprevedibilità è una caratteristica altamente umana, quindi un oggetto che improvvisamente si comporta diversamente da come ci aspettavamo diventa ai nostri occhi più umano. Se non avete il pollice verde, ma seguite tutte le istruzioni per mantenere la vostra gardenia in vita e questa, nonostante i vostri sforzi, ingiallisce sempre di più, vi verrà da dirle qualche parola carina per incoraggiarla. Quando invece è in forma quasi non vi accorgete di lei.

Dare nomi alle cose che ci ricordano facce umane è altrettanto normale: l’uomo ha la capacità di vedere i suoi tratti distintivi quasi ovunque (un tombino che sorride, un’automobile che ti osserva) e se un oggetto ha una faccia, allora deve avere anche una mente. Questo atteggiamento rientra nella natura umana di comunicare anche attraverso le espressioni.

Infine, attribuiamo una mente agli oggetti che ci piacciono. Più una persona ci piace, più ci leghiamo alla sua mente, così avviene anche con gli oggetti che ci colpiscono di più: li vogliamo capire, vogliamo che abbiano un’anima e, visto che non ce l’hanno, gliela creiamo noi.

Riconoscere la mente di un altro essere umano comporta lo stesso processo psicologico che avviene quando riconosciamo una mente in altri animali, in un dio o anche in un gadget. È una dimostrazione delle immense capacità del nostro cervello. Non è segno di stupidità! Il professor Epley sta studiando per dimostrare il legame tra la tendenza a umanizzare gli oggetti e l’intelligenza sociale.

Più individuiamo comportamenti ed espressioni negli altri più ci alleniamo a diventare socialmente intelligenti.

 

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