Un’ondata di buonismo televisivo alla romana sta per invaderci: comincia su Rai1 Nero a metà. Claudio Amendola fa lo sbirro onesto, duro ma tenero e, soprattutto, senza pregiudizi.
L’ispettore Carlo Guerrieri, nella nuova serie della fiction Nero a metà, regia di Marco Pontecorvo, in 12 episodi divisi in sei prime serate è talmente costruito sull’anti-intolleranza e sul volemose bbene che pare prodotto da George Soros.
Scherzi a parte Carlo Guerrieri abita all’ Esquilino e ogni giorno affronta una Roma multietnica, rappresentata dall’attore millennial Miguel Gobbo Diaz. Che, non si capisce per quale strane turbe dello sceneggiatore, in Nero a metà è di origine ivoriana. Mentre nella realtà si capisce benissimo che è di Santo Domingo. Per di più è vicentino dall’età di tre anni.
Comunque la storia è più prevedibile di una bravata di Fabrizio Corona: all’inizio il ruvido ispettò guarda male Malik Soprani (Gobbo Diaz) e lo chiama addirittura «er negro». Ma non è il nome da stilista etno-chic a fargli cambiare idea. Claudio Amendola Guerrieri supera il suo razzismo e fascismo interiore (chissà che punteggio ha preso nel fascistometro della Murgia), perché un po’ je tocca. La figliola sua, infatti, s’innamora di Malik.
Tuttavia. Claudio Amendola smorza le polemiche, perché ovviamente c’è stato chi subito gli ha rinfacciato di essere mezzo salviniano: «È scoppiato il finimondo solo perché ho detto che il vicepremier è un bravo politico: ma era una constatazione, sorretta dai numeri elettorali», ha detto al Messaggero.
Come accade a tutti gli attori di Cinecittà, anche lui forse pensa sia meglio non contraddire il pensiero unico della Roma del Cinema che anche quando deve fare prodotti commerciali non rinuncia a essere didascalica. Nel senso: riuscirà mai mamma Rai a produrre qualcosa di veramente competitivo con realtà alla Netflix?
Perché ci deve riuscire Tve (la televisione pubblica spagnola che ha coprodotto La casa de papel) e la Rai no? Riusciremo mai a vedere personaggi meno banaliformi dei vari commissari buoni che-la-prima-cosa-è-sempre-la-famiglia o eroi dell’antimafia? Un Mike Hermantraut di Better call Saul, un paio di gemelli Salamanca come in Breaking Bad? Dimentichiamoceli.
No, non possiamo farcela, non ce la faremo mai. Forse per questo ogni volta c’è bisogno di rinforzare la promozione di queste serie con qualche colpetto di scena. E così Claudio Amendola scomoda il #metoo: «Sono stato molestato anch’io. Ho iniziato a lavorare da giovane, ero un bel ragazzetto. Una donna più grande approfittò del suo potere per saltarmi addosso».
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