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Gatto arrostito per strada: sarà una scena comune nel nostro futuro?

30 Giugno 2020
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Millenial del web, il video del giorno è quello che arriva da Campiglia Marittima, in provincia di Livorno, in cui un ventitreenne originario della Costa D’Avorio arrostisce un gattino in mezzo alla strada.

L’uomo è diventato subito un simbolo della solita stucchevole caccia all’immigrato. Susanna Ceccardi, sindaca di leghista di Cascina candidata alla presidenza della regione, ha preso la palla al balzo, così come Salvini, per condannare il gesto. Molti cuori di sinistra sul web sono più indulgenti col gesto che seppur terribile sarebbe motivato dalla povertà.

E allora Bigazzi?

Facciamo un passo di lato e scostiamoci dal giudizio. Analizziamo il fatto in se.

Non sono uno psichiatra, ma ascoltando i brandelli di dialogo tra l’uomo e una donna che lo riprende al cellulare, dubito che abbia avuto uno sviluppo cognitivo regolare. In poche parole, credo non stia molto bene.

Premesso questo, se un italiano normodotato avesse cucinato un gatto in strada probabilmente sarebbe stato linciato. Ricordate l’epurazione dalla Rai ai danni di Beppe Bigazzi che confessò di aver mangiato gatti cinquant’anni prima, in tempo di guerra? Ecco… fate voi.

L’uomo del video non sembra essere particolarmente lucido, più che altro per la modalità con cui si prepara la cena. Incenerisce un gatto (carbonizzandolo letteralmente, tanto che la bestia è stecchita con le gambe all’insù e ridotta a carbone quindi pure poco mangiabile) in mezzo alla strada, sotto gli occhi di tutti, improvvisando un barbeque degrado.

È proprio il fatto che il gesto si compia alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti che mi fa riflettere. Quell’uomo, non sappiamo se in pieno delle sue facoltà mentali, sta facendo qualcosa di cui non sente il motivo di dar giustificazioni. Caccia un micio e se lo frigge. Li, nel mezzo di tutto.

 

Siete mai stati in Africa? In Africa è abbastanza normale assistere a scene di questo tipo, ai margini di quelle mulattiere che attraversano i paesini e su cui si svolgono le vite più disparate. In mezzo alla terra ti trovi a scansare mucche, bambini nudi, uomini che dormono nei copertoni dei camion, quelli che seppelliscono e bruciano i rifiuti a due passi da dove i bambini giocano o guidano la moto del fratello. I nostri sensi vanno tutti in allerta, ma tra i locals, nessuno si scompone.

Il comportamento di quest’uomo è quindi quello che avrebbe avuto probabilmente nella sua terra d’origine e ci sconvolge perché per noi occidentali il gatto è un animale domestico.

Questa scena sembra presa direttamente da Sottomissione di Houellebecq, perché ci fa chiedere, da quando succedono queste cose da noi? Dove stiamo andando?

Trent’anni fa eravamo impauriti dai meridionali che migravano al sud, venti dagli albanesi che arrivavano sui barconi, adesso dai migranti africani. Tra vent’anni come si saranno conciliate le nostre culture e quelle dei migranti?

Il futuro dell’immigrazione in Italia

La politica ha sempre fallito e forse non ha mai tentato di fare integrazione. I fatti di Mondragone, i campi rom bruciati, gli episodi di razzismo e violenza, sono all’ordine del giorno. La politica fa propaganda, il paese ci tocca amministrarcelo da soli. Così come l’educazione. Abbiamo accolto stranieri senza conoscerli, senza dialogarci, solo sentendoci invasi. La politica ha cavalcato quest’onda per avere consensi e dissensi a seconda di cosa le serviva. Nessuno se ne è fregato minimamente di spiegarci cosa stesse succedendo.

Quindi ve lo diciamo noi. Stiamo assistendo all’ennesima migrazione (l’uomo migra dalla preistoria e quando arriva nel nuovo posto i locali non sono MAI contenti) di un popolo e dobbiamo abituarci all’idea che ormai fa parte di noi.

Noi conviviamo con quell’ivoriano, dobbiamo imparare a convivere anche con questa idea. Da lì forse la tensione sociale si stempererà. E come per gli aiuti per il contributo all’affitto o i tagli alle cartelle esattoriali, come per ogni esigenza pratica che avete, non sperate che sia lo Stato a risolverla. Qui è tutto talmente democratico che tocca rimboccarsi le maniche da soli.

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