Rigore giornalistico e stile pop di matrice “chiambrettiana”. Il nuovo libro di David Parenzo, giornalista e conosciuto al grande pubblico per la co-conduzione del programma “La Zanzara” ha – come il suo autore – il pregio di far passare messaggi complessi con la sottigliezza di una battuta. Il tutto corredato da interviste, dati e analisi che si prestano alla prova dei fatti.
“I falsari” (Marsilio) è il titolo, un vero e proprio viaggio nelle istituzioni europee, tra virtù e contraddizioni, ma soprattutto per smascherare le bufale propinate ai cittadini attraverso quello che definisce lo “storytelling sovranista”. Nel mirino Matteo Salvini e Giorgia Meloni in particolare, ma anche l’atteggiamento ondivago del M5s o il “cattivismo” imperante nella comunicazione social.
«Ci vorrebbe più Europa» non ha timore di sostenere, in contrasto con Giuseppe Cruciani, che affianca a Radio24 («perché lui è un anarco-individualista») e sogna per i suoi tre figli una Italia che faccia parte di una Unione che si muove compatta verso i veri competitor: Stati Uniti, Cina e India.
Siamo reduci da grandi polemiche sul 25 aprile. Anche da questo si nota che le elezioni europee sono sempre più vicine.
La trovata di Salvini di non partecipare è pura propaganda. Vive in costante necessità di essere sui giornali. I sovranisti vincono perché catalizzano l’attenzione e sono divisivi. Ma la lotta alla mafia si fa tutto l’anno. Magari evitando di minacciare Roberto Saviano di togliergli la scorta.
Il 25 aprile abbiamo fatto il pieno di messaggi contraddittori e idioti. Come quello di Giorgia Meloni che ha scritto: “Chi crede nella libertà e la democrazia si batte oggi contro l’oppressione di questa Unione Europea ostaggio dei burocrati e dei tecnocrati”. Qui siamo alla follia.
In che senso?
Lei viene da un partito le cui radici sono nel Movimento Sociale Italiano e se c’era un elemento che contraddistingueva i vecchi dirigenti, come Giorgio Almirante, era di essere figli del loro tempo. Che Almirante fosse un fascista lo sapevano tutti, eppure accettava il gioco democratico, quindi era normale che non festeggiasse il 25 aprile. Ma che i nipotini si rifacciano a quella storia e a quelle tradizioni li rende grotteschi. Che Meloni usi le elezioni europee per dire che serve meno Europa segna la doppia follia.
Nel suo libro sostiene che è necessaria più Europa, per quali motivi?
Intanto servirebbe arrivare a un vero federalismo. Il “sovranismo” dovrebbe essere europeo. Per arrivare a considerare la politica europea politica interna. I 500 milioni di persone con un’unica moneta, tolti alcuni paesi, rappresentano il nostro mercato interno. Cosa ci unisce poi? La storia, segnata dalle dittature: comunista o nazi-fascista. Cosa c’è di più interessante di un patto tra nazioni per costituire un nuovo accordo dopo quell’orrore? Chi sostiene il contrario fa parte dei “falsari”, perché stravolgono la storia e le identità. Non mi spaventano, sono grotteschi. Salvini con il mitra in mano non mi fa paura, è tragicomico. È lo stesso che voleva dichiarare la guerra alla Siria per risolvere il problema dell’immigrazione e ora prende in ostaggio 46 persone su una nave.
Nel libro vengono smontati anche molti luoghi comuni che circolano in rete.
L’Europa viene attaccata per il suo eccessivo normativismo. È evidente che per creare un mercato unico sia necessario darsi delle regole standard. Prendiamo a esempio la questione delle quote latte: la Lega Nord cavalcò questo tema, ma la verità è il al contrario di quello che questi ci vennero a raccontare. Le quote nascevano per non creare surplus di produzione e quindi evitare una lotta commerciale tra Paesi. Invece per colpa di pochi agricoltori, sobillati dalla Lega dell’epoca, ci siamo trovati a dover pagare le multe di coloro che hanno beffato i propri concorrenti interni, cioè quelli che hanno rispettato le norme. Continuano a ripeterci che l’Europa è in balìa delle lobby e dei poteri forti, ma è esattamente il contrario. Guardate le multe comminate a colossi come Facebook e Google, non sono altro che la riprova di una politica economica che prova a governare il mercato.
Nel libro non mancano le interviste. Ce ne sono alcune che hanno stupito anche lei?
Per esempio quella che ho fatto al capo della lobby del tabacco. L’Unione Europea ha un regolamento sulle lobby, che è perfettibile, ma almeno è da prendere a esempio. Perché lobby non è una parolaccia, significa “rappresentanza di interessi”, come Confindustria o i sindacati. Nel bar dei Fiori, dove si incontrano tutti i lobbisti, ho intervistato il rappresentante di uno dei settori più criticati, come quello del tabacco e mi ha colpito per la sua chiarezza e nettezza. Non mi ha detto che il fumo fa bene, figuriamoci, ma che il regolamento europeo su come interagire con la politica è molto buono perché rende trasparente il suo operato per i deputati. Un’altra intervista abbastanza sorprendente inclusa nel libro è quella a un deputato greco ex Alba Dorata, che si dice amicissimo di Matteo Salvini, soprattutto per il linguaggio: per lui l’Europa è solamente quella bianca e l’unica religione quella cattolica, le altre sono tollerate. Questi sono alcuni compagni di strada del nostro ministro dell’Interno. In Italia esistono 48 disegni di legge depositati in Parlamento sul tema delle lobby e non se ne è ancora fatto nulla. Intanto spuntano ogni giorno casi come quello del sottosegretario Siri, su rapporti apparentemente malsani tra politica e interessi. Il grande maestro rimane Einaudi, che diceva: “Conoscere per deliberare”. Iniziamo a conoscerli meglio.
Attraverso le fake news passano messaggi d’odio, non solo verso l’Europa ma anche contro chi è diverso. Crede che l’Italia sia un paese razzista?
Non credo, lo dico sempre alla radio. È una parte che ritiene si possa dire tutto, sostenuta da chi ha ruoli di potere che invece non dovrebbe utilizzare un linguaggio simile. Come un ministro che imbraccia un fucile dicendo di essere sotto assedio o un sindaco che fa distinzioni rispetto ad alcune comunità del suo territorio. È il “cattivismo” al potere, che è molto di moda e fa click. Ti dicono: “Io parlo come la gente, dico quello che vuol sentirsi dire”. Non lo credo. Abbiamo semplicemente sdoganato la maleducazione, attraverso il linguaggio iperbolico e violento. Oggi è una cifra di costruzione del consenso. Ma passerà.
La “maggioranza silenziosa” che spesso evoca a La Zanzara crede che esista realmente?
Certo, ci sono persone che ogni giorno fanno mille cose buone, in ogni mestiere o nel volontariato. Tutto sommato vedo un paese che funziona. Dove lavoro, nella strada davanti, ci sono sempre tre ragazzi eritrei, spesso ubriachi che mangiano ai bordi della strada. Sono tre, non cinquantamila. Ogni tanto la polizia li controlla, delle persone gli portano da mangiare. Poi c’è l’Italia di Mario Giordano che gli farebbe una foto dicendo che ci stanno invadendo. Io non sono buonista per niente, non gli do sempre un euro. Danno fastidio anche a me, ma sono tre persone, si potrebbero gestire. La comunicazione dei sovranisti se non la condividi ti attacca con queste etichette: buonista, radical chic e vivi in un luogo in cui non ci sono stranieri. Ma non è vero, io prendo la metropolitana, i treni, giro per le città italiane ogni giorno. Esisterà sempre la marginalità, in tutte le società, però bisogna governare i fenomeni. Invece questi ne parlano facendosi una foto su Instagram mentre mangiano una pizza.
Il Movimento 5 Stelle come viene visto in Europa?
Il gruppo nel Parlamento europeo è composto da grandi lavoratori. Molto presenti, a differenza di Salvini che aveva il più basso tasso di presenta. Poi sono bizzarri in alcune delle loro manifestazioni. Faccio un esempio. Sulla questione dell’olio tunisino importato dall’Italia, erano in delegazione per contrattare quella quota. La logica era: aiutiamoli a casa loro, compriamo una piccola quantità a supplire anche le nostre carenze e non a invadere il mercato del nostro olio straordinario. Andarono, firmarono l’accordo, poi al ritorno votarono contro.
Il suo partner Giuseppe Cruciani ad alcune campagne “cattiviste” crede veramente?
Temo di sì. C’è una buona dose di iperbole, ma su molte cose temo che creda in quel che dice.
Non ha anche lui un lato “buonista”?
Ormai cerca di far coincidere il personaggio della radio con quello della vita di tutti i giorni. Che è anche qualcosa di molto affascinante in lui. Quando dice che è stato in un bordello sono certo che ci è andato davvero. È un anarco-individualista.
In una intervista ha lodato le sue qualità paragonandola a Chiambretti.
Forse in alcune cose che ho fatto, sì. Vorrei unire il mio rigore giornalistico a uno stile pop e riuscire a divulgare, come in questo libro, messaggi seri. In questo senso lo considero un complimento. Temi complessi e linguaggio semplice, quello che dovrebbe fare un giornalista.
Alcuni suoi colleghi hanno fatto il salto di accettare una candidatura politica. Come Gianluigi Paragone, che lei conosce bene. Che ne pensa?
Più che mai legittimo. Lui è sempre stato un giornalista militante, prima da direttore della Padania, ora con il M5s. Io faccio il giornalista, poi posso avere le mie idee ma non sono militante.
Non accetterebbe una candidatura in linea con i suoi valori?
No. Ho grande ammirazione per chi è in politica e fino al primo anno di università l’ho fatta con divertimento. Poi ho smesso per il giornalismo. Ho le mie idee, però preferisco questo mestiere, raccontare, segnalare le contraddizioni. Quando c’era al governo Matteo Renzi andate a vedere cosa ho detto e scritto. Ho dei valori, sono antifascista, credo che sia ingiusto e contro il diritto internazionale tenere 46 persone ostaggio su una nave, ma non si tratta di destra o sinistra. Ho rispetto per chi ha fatto il passo di entrare in politica, ma come i magistrati non dovrebbe tornare indietro, almeno nell’immediato.
Sono celebri gli scontri tra lei e un altro “cattivista” come Vittorio Feltri.
Mi fa sorridere quello che scrive Feltri. È un grande mestatore di luoghi comuni. Se ce n’è uno che circola stai pur sicuro che ne farà un titolo. È il più grande rilanciatore di stereotipi. Sotto questo punto di vista è un gigante. Infatti ne esiste solo uno al mondo.
E quando vede Antonio Razzi e Nunzia Di Girolamo a Ballando con le stelle, cosa pensa?
Non ne penso male. Perché dovrei? Non sono stati ricandidati. Non è che se uno smette di fare politica non può più fare nulla. Razzi ha saputo giocare sulla sua ironia, è diventato un brand di sé stesso. Ha usato con furbizia il suo essere sgrammaticato. È anche molto coraggioso, dopo aver fatto per una vita l’operaio in Svizzera. È il riscatto di quell’Italia immigrata che dopo tanto lavoro ha saputo emergere. E Nunzia è una brava ballerina, mi piace molto. Spero che vinca lei. Questa è la forza della democrazia.
Lei ha tre figli, Margherita, Nathan e Gabriele. Che Italia vorrebbe per loro?
Spero intanto che leggano il libro e si facciano venire dei dubbi, come tutti gli altri che lo vorranno acquistare. I fatti e i numeri nessuno li ha ancora contestati. Direi: fatevi un’idea, discutiamone, litighiamo anche, ma poi ognuno prenda le decisioni essendo informato. L’Italia che vorrei per loro già esiste. Ci immaginiamo cosa significherebbe tornare agli Stati con i confini e alle guerre commerciali tra Paesi? I nostri competitor sono gli Stati Uniti, l’India e la Cina. Per questo mi auguro che i miei figli vadano a studiare all’estero, che non considero la Francia ma l’America, o imparino il cinese per capire sempre più come gira questo mondo.
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