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Il futuro della moda è il politically correct? Il caso dagli angeli di Victoria’s Secret

15 Luglio 2021
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La notizia sta rimbalzando da giorni sul web.

Victoria’s Secret dice addio (per sempre?) ai suoi angeli, dopo aver già cancellato nel 2019 i suoi iconici show con top model e le loro ali che le rendevano ancor più fantastiche, più di quello che già madre natura aveva stabilito. 

Chi sfilerà per Victoria’s Secret?

Niente più Adriana Lima, Gisele Bündchen, Bella Hadid, Alessandra Ambrosio, Doutzen Kroes, Kelly Gale e Jasmine Tookes, ma spazio a nuove testimonial all’insegna del politicamente corretto, dell’inclusione e di altri valori indiscutibili in quanto tali ma che possono suscitare più di una perplessità, se applicati – per una sorta di obbligo auto-imposto – per rispettare le parità di generi, con tanto di relativi riflessi pavloviani.

Entrano in squadra la campionessa di soccer e attivista Megan Rapinoe, la modella curvy Paloma Elsesser, la modella e attrice transgrender Valentina Sampaio e la modella sudanese Adut Akech, ex rifugiata.

Il politicamente corretto nella moda

“Sign o’ the times” per dirla alla Prince, del cui album postumo torneremo ad occuparci nelle prossime settimane. La cancel culture avanza implacabile: pochi giorni dopo la solenne proclamazione del Guardian, che ha accusato la torta di mele di essere razzista, ecco un annuncio che sembra quasi mettere in discussione una delle poche certezze della vita: i marchi di lingerie e di intimo – fra poco toccherà anche alle grandi griffe? – non possono più rivolgersi alle top model per pubblicizzare i loro prodotti? Uno slip e un reggiseno non vanno più promossi da splendide fanciulle? La bellezza in quanto tale non è più un valore, un riferimento, un esempio? A che pro confondere estetica ed etica?

Di questo passo anche le squadre di calcio dovranno essere formate in base a parametri non squisitamente tecnici. Siamo ancora grati a Donatella Versace per la sfilata del 2017, con la quale ha commemorato il ventesimo anniversario della morte del fratello Gianni, e che ha riportato insieme in passerella Carla Bruni, Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Helena Christensen e Naomi Campbell. Se nel 1997 le tendenze di pensiero attuali fossero state dominanti come adesso, questa celebrazione non sarebbe mai stata possibile.

La crisi di Victoria’s Secret

In realtà a tutto questo c’è un perché, che esula da ideali e idealismi. Victoria’s Secret è in crisi nera, nel 2020 ha chiuso 241 negozi, quest’anno toccherà ad altri 50; il fatturato è sì in leggera ripresa grazie alla sua linea bath & body ma non per le sue lingerie, che possono essere passate di moda – capita a tutti – essere superate da altri marchi meno costosi e meno appariscenti, ma tutto questo non spiega a noi comuni mortali perché un completo di intimo non possa più trovare la sua massima esaltazione in una supermodella.

Da quando donne bellissime non devono e non possono essere più un esempio, quantomeno quando si parla di fashion? Chi stabilisce aprioristicamente che non siano portatrici di inclusione e parità di genere? Anche questa è una forma di discriminazione, ma per lo zeitgeist attuale non costituisce notizia.

Foto in copertina: Victoria's Secret 

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