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Il cinquantenne che ha corso a 70°C nel deserto iraniano correrà su Marte

21 Agosto 2020
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Stiamo parlando in maniera letterale di una vera corsa nello spazio. Il primo a riuscirci potrebbe essere l’unico uomo in grado di smentire le notizie di questi giorni. La death Valley, infatti, non è la regione più calda di sempre del nostro pianeta, parola dell’ultrarunner Paolo Venturini.

 

Lo riportavano qualche giorno fa alcune edizioni online del Corriere della Sera e di altri siti web, quando una foto e il pezzo di accompagnamento ci dicevano che il mondo andava in fiamme e che nel Nevada, in America, le temperature non avevano mai raggiunto picchi simili: 56,7°C. Ma non è così. L’ultrarunner Paolo Venturini, Generazione X cinquantenne, poliziotto e atleta ultraperformante, aveva corso – e ripeto: corso – in condizioni ben più estreme di questa.

Qual è il deserto più caldo della Terra?

“Avevo corso nella Death Valley a 55° e anche nello Chot ech Chergui, il lago salato dell’Algeria a 55-56°C – dice Paolo -, imprese estreme, ma nulla a che vedere con quanto avvenuto il 19 luglio del 2017 in Iran”.

Impresa ai limiti, estrema oltre il senso della parola stessa. Paolo Venturini aveva sfidato la vita e la morte stessa preparando l’attraversamento del deserto iraniano capace di raggiungere i 71°C. Capite bene come la Death Valley sia uno scherzo a confronto.

“Il satellite della Nasa che si occupa della temperatura terrestre, aveva registrato qualche anno fa un caldo record di 71°C. Nello stesso periodo caldissimo dell’anno avevo deciso di tentare l’impresa: 75 km con mille metri di dislivello positivo di corsa, in canottiera, cappellino e pantaloncini. Ovviamente in Iran fece discutere il mio abbigliamento, dividendo l’opinione pubblica tra giovani progressisti e conservatori. Per fortuna la mia esperienza, seguita da moltissimi media, alla fine ha accontentato un po’ tutti e qualche anno dopo fui invitato in Iran come testimonial della prima gara di corsa con uomini e donne partecipanti insieme. Fu un’esperienza forte”.

Diciamolo subito, ci fa piacere per l’aspetto geopolitico, ma ragazzi, Paolo fa sembrare una passeggiata quella che nel dettaglio è una vera follia. Calcolata e con staff medico italo-iraniano a supporto. Parliamo di 75 km nel deserto con l’aria che brucia a 67°C, il terreno che quasi bolle a 81°C e la temperatura corporea da oltre 42°C.

Nella Death Valley, battuto il record di caldo del 1931

 

Come ci si prepara al deserto?

“A Padova, il mese precedente, mi sono allenato in una stanza con due termoconvettori, sopra a un tapis rullant refrigerato. A 60°C abbiamo fatto dei test per capire come il mio fisico reagiva alla disidratazione”. Prendete un libro di scienze e studiate. Considerate che il corpo assorbe un litro di liquidi l’ora, mentre la parete intestinale assorbe gli stessi liquidi in tre ore. Pensate che tutto questo viene fatto di corsa, in movimento, comportando acidità di stomaco e intestino infiammato. Ovviamente le risposte organiche sono ben diverse e più difficoltose. In queste condizioni ‘aerobiche’ il corpo assorbe 0,75cc l’ora, ma ne rilascia 2 litri nello stesso lasso di tempo. Ora, non ve la facciamo lunga, basti pensare che in un’impresa del genere, il corpo di Venturini ha assistito ad un turnover di 18 litri di liquidi. Due casse di bottiglie d’acqua da 1,5 litri ognuna, ingerite, di corsa, roba da non credere.

“Disidratazione totale, questo è il rischio. Il corpo si secca e non trovi più vene per le flebo. Io ero partito con due canule venose di acqua fisiologica: una vena si è chiusa, l’altra per fortuna no e mi ha permesso di superare le crisi. L’altro pericolo era di tipo cerebrale, a quelle temperature si staccano le sinapsi e può sopraggiungere ogni tipo di paresi. Un asciugamano di acqua ghiacciata sulla testa mi ha salvato la vita”.

75 km, 11 ore di corsa a un ritmo di 5,30 al km (considerate che un Millennial non allenato è bravo se si avvicina ai 6’!), check in ogni ora con lo staff medico e qualche raffica di vento a 55km/h che poteva essere a favore o a…sfavore.

“Il corpo ha reagito in maniera incredibile e i test sono serviti a capire come l’essere umano reagisce a condizioni così al limite”.

La corsa su Marte

Finita qui? Nemmeno per sogno. Vi abbiamo parlato di sfida allo spazio, nello spazio. La prossima impresa non sarà correre sulla luna, ma su Marte.

“Il mio sogno è realizzare qualcosa di incredibile per la scienza per dare un contributo notevole nella corsa al pianeta rosso. Correre nella stazione orbitante spaziale Europea, su un tapis rullant, in totale assenza di gravità. Sulla terra non esiste piscina o montagna dove trovare le condizioni simili dello spazio. L’idea è quella di correre legato con un cintura e con l’inclinazione giusta per ripetere le condizioni marziane. In passato ho già fatto endurance su tapis rullant: ho corso 12 ore non stop. Mi sento bene e sarei pronto a farlo nello spazio, ma non nascondo che i problemi sono altri. L’assenza di gravità ha ripercussioni incedibili su ossa e circolazione sanguigna, non ci nascondiamo, il corpo ne risente”.

Ditelo ad Elon Musk, la sfida a Marte da qui. “Sappiamo che sarà un viaggio che costringerà l’equipaggio in volo per sei mesi, starà un anno sul pianeta rosso e tornerà indietro nell’arco di un altro semestre. Fare valutazioni sull’esercizio fisico in assenza di gravità è di primaria importanza, gli astronauti ne hanno bisogno. Sarei felicissimo di dare il mio contributo alla causa, ma so che è un po’ complicato. La preparazione è lunga, dura moltissimo e forse sarò costretto a passare il testimone. Anche se gli astronauti non sono mai ragazzi giovani, perché serve una certa esperienza e i miei cinquant’anni potrebbero non essere un ostacolo, ma un buon banco di prova. Sarebbe bello realizzare questo sogno, vedremo”.

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